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L'italiano medio castrato senza più calcio e sesso

Due eccellenze ci erano rimaste: andate. Addio Coppa, ma in compenso siamo tutti molestatori

Marcello Veneziani
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Agli italiani, popolo giocoso e provolone, erano rimasti due ambiti in cui esercitare la virilità e simulare un po' di potenza: il calcio e il sesso. Estromessi dai mondiali ed evirati a mezzo stampa nel nome delle molestie sessuali, gli italiani hanno perso gli ultimi rifugi per la propria autostima. Siamo in piena castrazione nazionale. Non vi parlerò della disfatta ai mondiali che costerà ascolti, introiti pubblicitari e recherà tristezza e noia nella vita giocosa degli italiani. Ma mi soffermerò su quel filone che scorre ormai da settimane tra cinema e media, sesso e molestie. Proviamo a dare una veduta d'insieme di questo gioco al massacro e al gossip che dura ormai da giorni. In principio, come sempre, fu l'America e la Casa madre del cinema, Hollywood, dove un mondo di femministe e umanitari, progressisti e antirazzisti, si scoprì un immondo porcaio dove tutti sapevano, anche le suddette anime belle, ma tacevano per viltà e convenienza, o peggio per aver partecipato anch'esse al traffico di sesso e film. C'è chi si è aggrappato al politically correct adducendo come alibi della sua pedofilia il fatto di aver avuto un padre nazista, cercando la redenzione nel suo outing-promessa: d'ora in poi vivrò da gay. Evviva, si è riscattato, santo subito. Poi a rimorchio vennero i nostri. Tra l'America e l'Italia il ponte fu l'Asia, e non nel senso di un continente ma di un'attrice incontinente che dopo anni di silenzio decise di vuotare il sacco sulle violenze subite nei due mondi. E per dimostrare che non siamo da meno dei nostri superiori e liberatori, gli yankees liberal & radical, è cominciata la caccia al porco nostrano, made in Italy. È iniziato il filone SPQR, Sono Porci Questi Registi. È partita una carrellata di nomi, anche insospettabili o innocenti, coinvolti nel giro. È venuta fuori la peggior Italia perché a farla da protagonisti sono soprattutto tre categorie: registi allupati che esercitavano il loro potere, proponendo un infame cambio merce, sesso in cambio di parti nei film; poi il mondo di mezzo dei ruffiani, papponi e guardoni; e infine lo squallido mondo di aspiranti attricette in cui è difficile distinguere tra vere vittime, complici della compravendita, un tempo consenzienti, accusatrici a fini di ricatto, malate di protagonismo, maddalene pentite a scoppio ritardato, squinzie coi loro siti intimi più visitati di un blog; tutto pur di entrare nel meraviglioso mondo delle star. Che si auto-assolvevano con la scusa: era l'unico modo per lavorare. Ora, diventare attrici non è una necessità ma una scelta, a volte una vanità, comunque un'ambizione. Se ti chiedono di prostituirti (e questo vale in altre forme anche per i maschi), puoi cambiare porta o cambiar mestiere o puntare solo sul tuo talento. O puoi denunciare, appena succede il misfatto. Ma farlo dopo anni, in mucchio, random, crea sospetti e confusione. Perché si perdono i confini tra violentate (rare), costrette in senso psicologico (meno rare), molestate (numerose), un po' forzate e un po' consenzienti (tantissime), più false vittime, a loro volta seduttive e invoglianti, di presunti ingrifati, che a volte erano semplici, innocui benché fastidiosi provoloni. In questa storia chi ci rimette? A parte le vere vittime di violenza e prevaricazione, ci rimettono le ragazze brave, cioè capaci e meritevoli, che non si sono concesse o che non erano appetibili agli orchi in questione; poi ci rimettono i registi bravi che si sono limitati a oneste avances come sempre accade dacché esiste il mondo, ma che non hanno forzato nessuno e nemmeno abusato del loro ruolo, anche se hanno cercato di trarre fascino e richiamo dalla loro posizione preminente (deprecabile, ma entro certi limiti, comprensibile e non penalmente rilevante). E ci ha rimesso la credibilità del cinema italiano. Ma più in fondo ci ha rimesso l'italiano maschio, attaccato da tutte le parti: depresso, mentalmente castrato, perdente, in fuga dalle donne, timoroso della loro intraprendenza, impacciato e magari perfino omosessuale per non competere con donne aggressive ed esigenti; oppure, all'opposto, ridotto a un potenziale femminicida, un porco macho che usa il potere per disporre dei corpi delle sue sottoposte, un satana in mutande che induce alla prostituzione. L'immagine che ne esce è la fine dell'italiano medio, comune, universale e la nascita al suo posto di un popolo di eunuchi infantili ancora all'ombra di mammà più una minoranza di pedofili, perversi e fallocrati, violenti seriali e misogini. Sparisce la vita di sempre, fatta di uomini “normali” che corteggiano in vario modo le donne, senza arrivare agli estremi dello stalking e della molestia, di donne che in fondo cedono all'iniziativa dei maschi e al fascino del comando; di avventure un po' giocose, tra piaceri e rimorsi, di persone che vivono la loro altalena di eros e sentimenti senza ricorrere al tribunale in un atto estremo di esibizionismo penale e penoso. L'importante, in questo polverone o in questo docufilm dal vivo (o backstage), è distinguere tra gradi diversi di giudizio e di condanna, circoscrivere e perseguire i reati ma lasciando fuori dai tribunali e dal voyeurismo di massa – altro capitolo indegno – la semplice, eterna storia senza storia delle avances sessuali. Infine, l'aspetto più becero e stomachevole in questa vicenda è il moralismo mediatico. Dopo aver deriso e scacciato la morale, ridicolizzato la famiglia e il pudore, viene riattivato un moralismo cinico, che funge solo da giogo mediatico per penalizzare i concorrenti o metterli fuori gioco. Sesso senza limiti, permissivismo assoluto e porci comodi for ever; ma tolleranza zero per chi sgarra dalla precettistica gay-trans-femminista.

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