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La patria non è un mobile Ikea

La nascita delle regioni è stato l'inizio del declino italiano

Marcello Veneziani
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Oggi noi italiani di Roma, del sud, del centro-nord, del nord-ovest e delle isole, saremo spettatori inermi del referendum lombardo-veneto per l'autonomia delle due regioni. In un paese serio, visti i risultati disastrosi delle regioni a statuto autonomo, a partire dalla Sicilia, si farebbe il processo inverso: abolire l'autonomia e i privilegi concessi a 5 e poi a 6 regioni italiane. Da noi, invece, si indice un referendum per allargare l'autonomia alle due regioni più ricche; e per tenere buoni noialtri del piano di sotto, noi restanti quattro quinti d'Italia, ci promettono che poi l'autonomia verrà estesa a tutto il Paese. Io vorrei fare un discorso sul passato e uno sul futuro. Se dovessimo giudicare dall'esperienza passata, la nascita delle regioni, il trasferimento di competenze e poteri a livello regionale, è stata l'inizio del declino italiano. Un paese che bene o male era cresciuto, si era unificato, alfabetizzato e modernizzato con uno stato centrale più un centinaio di province e di prefetture, cominciò a sfasciarsi quando furono introdotte le regioni nel 1970. E la marcia proseguì quando furono potenziate e accresciute le loro competenze con le modifiche del titolo quinto della Costituzione. L'esperienza dunque ci dice che dare più autonomia e più poteri alle regioni è stata una sciagura progressiva; perseverare ora su quella linea è diabolico. L'esperienza passata poi ci ricorda che chi ora reclama l'autonomia delle Regioni fino a pochi anni fa credeva in un'entità misteriosa detta Padania e aveva un sogno nel cassetto, la Secessione. Ora se glielo ricordi ti danno del matto; ma erano loro, giuro che erano proprio loro, gli stessi autonomisti di oggi, a chiedere la secessione. È lecito pensare, visti i loro precedenti, che il referendum rientra nelle prove tecniche di separazione? E qui dai ricordi del passato passiamo nel futuro transitando dal presente. Avete presente quel che sta succedendo in Catalogna? Beh, tutto cominciò con la richiesta di maggiore autonomia; e poi si è arrivati a questa mezza guerra civile, a questa guerra di secessione fuori tempo e fuori luogo, che sta creando più danni che vantaggi non solo al resto della Spagna ma anche alla Catalogna medesima. E allora mettendo insieme l'aspirazione del passato, l'esperienza delle regioni, e in particolare quelle a statuto speciale, più gli esempi del presente catalano, dico: ma dove pensate che porti alla fine della fiera la richiesta di autonomia? A uno sfilarsi delle due regioni-locomotiva, come sono definite dai loro apologeti, dal resto del treno. È ragionevole ridiscutere l'uso e l'abuso delle risorse fiscali ed è ragionevole studiare e varare una maggiore corrispondenza tra territorio e prelievo; ma se la parola chiave è autonomia, sai dove comincia e non sai dove va a finire. Vivendo poi in un paese malato di egoismo, di fuga nel privato, di liberismo selvatico, seppure con protezione statale, l'autonomia regionale sottende la tentazione della separazione in casa. L'Italia va male? Scarichiamoci dell'Italia, pensiamo alla Lombardia, al Veneto, via via restringendo sempre più il nostro orizzonte. Meno siamo meglio stiamo. Per questo da italiano, da romano, da meridionale, da nazionalista ma anche da europeista, mi dico contrario all'autonomia e mi auguro che questo referendum serva più a scoraggiare che a incoraggiare il processo di frantumazione dell'Italia. Un paese spappolato, spacchettato, sfasciato conta ancor meno a livello internazionale ed europeo e riesce sempre meno a opporre un argine alla colonizzazione economica, alla speculazione finanziaria e agli sbarchi di migranti. Mi spiace per Zaia e Maroni che sono due buoni governatori, e mi spiace per tutti coloro che per ragioni etnico-elettorali, da Salvini a Berlusconi alla destra lombardo-veneta, ai giornali milanesi, più qualche romano in cerca di candidatura leghista, sostengono compatti questo referendum. C'è persino la ridicola pensata del Pd che esprime un “sì critico” al referendum e non ho capito come si esprime sulla scheda elettorale: tracceranno una croce ricamatata a uncinetto sul sì, accluderanno obiezioni e arabeschi alla scheda, apriranno un dibbbattito con gli scrutatori? Meglio non andare a votare, meglio esprimere netta e lineare la propria contrarietà. O se siete di sinistra inventatevi un “no critico”, cioè state a casa anziché andare al seggio ma discutete tutto il giorno sul referendum. Ma una cosa sia chiara. L'Italia non è una cucina scomponibile, da smontare all'occorrenza. È una patria, non un mobile Ikea.

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