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Paese senza spina dorsale

Marcello Veneziani
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Guardate l'Italia nelle mappe che evidenziano in rosso le zone sismiche: è un paese con la colonna vertebrale infiammata, a tratti spezzata, se non in frantumi, con alcuni segni vistosi di osteoporosi. Il rischio sismico si acuisce lungo la dorsale appenninica e si attenua digradando verso il mare, dove trovano rifugio molti scampati. È quella la vera linea che spacca in due l'Italia, non il nord e il sud, ma longitudinale. A vederla così, con quella colonna vertebrale pericolante e disastrata, sembra l'immagine e la metafora di un Paese senza spina dorsale. Un difetto fisico che allude a un difetto psicologico, la geografia corrisponde al carattere. Non riusciamo a stare in piedi, ma solo distesi, seduti o in ginocchio: ovvero dormienti, comodi o servili, come siamo stati nei secoli. Un pensatore spagnolo, Ortega y Gasset, scrisse un libro famoso, Espana Invertebrada. Ma la definizione calza a pennello per la nostra penisola, Italia invertebrata. Un paese fisicamente fragile, cagionevole, in cui la dorsale appenninica subisce periodici traumi, si spacca, e trema trema. Da cent'anni a questa parte i più significativi terremoti in Italia sono avvenuti proprio lungo la sua colonna vertebrale, da sud a nord, soffermandosi sul centro.  Del resto, l'Italia è uno dei rari paesi al mondo la cui sagoma corporea somiglia a quella di una persona: le sue spalle alpine, le sue ascelle liguri e venete, il suo busto con un'evidente scoliosi all'altezza della Capitale, l'obesità che sporge all'altezza del Conero, i suoi organi genitali garganici, i suoi glutei a forma di golfo, a Napoli e Salerno, le sue gambette pugliesi e calabresi che si dimenano nel Mediterraneo. Ma quella fisionomia così umana spiega pure la speciale umanità dei suoi abitanti. Quel corpo umano, però, è privo di un capo, è come se avesse perso la testa in Europa. E anche questo spiega molte cose. Certo, non basta la fisiologia per spiegare i crolli continui a ogni sussulto della terra. C'è il peso dei secoli, l'incuria degli anni, la malafede di chi ha costruito case di colla e di burro per speculare. C'è tutto questo e bisogna indagare in modo implacabile contro i colpevoli. Ma non cercate colpevoli a ogni costo, come sempre avviene dopo ogni terremoto o cataclisma. Capisco la necessità di trovare capri espiatori su cui scaricare le negatività, capisco la necessità dei media di far scalpore e titolare alla grande, sbattendo i mostri in prima pagina. Capisco tutto, ma i terremoti, come molte tragedie, sono scritti nella natura, non dipendono dagli uomini che possono alterare qualcosa ma che non riescono a cambiare radicalmente il corso degli eventi. C'è qualcosa a cui un tempo credevamo troppo e oggi troppo poco: la fatalità. Preveniamo finché possiamo ogni disastro, denunciamo senza pietà ogni crimine, ma rendiamoci conto che la natura ci ha posto dei limiti, e il più grande si chiama mortalità. Non moriremo sempre per colpa di qualcuno ma per la semplice e terribile ragione che siamo mortali e lo sapevamo sin dall'inizio... Come sappiamo sin da piccoli che viviamo in un paradiso precario, tra bellezza e degrado, tra millenni di civiltà e segni di fragilità. Camminiamo in bilico come su una corda sospesa sull'abisso. Paese fragile abitato da equilibristi.

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