Ci manca Umberto Lenzini, presidente del primo scudetto della Lazio, quello targato Maestrelli e Chinaglia. Sono passati trent'anni dalla sua morte in una fredda giornata del febbraio del 1987, eppure quanto sarebbe utile al mondo biancoceleste una figura come la sua. Costruì con pochi soldi quella Lazio formidabile a cui tutti i tifosi sono legati. Quei giri di campo prima delle partite, l'attesa dell'incasso domenicale per pagare gli stipendi a quel gruppo di pazzi che dominarono il campionato 1973-1974. Il lento declino di quella squadra e della sua gestione non cancella il ricorso indelebile, anzi rafforza l'affetto per il Umberto. Sarà anche calcio vintage, ma quell'umanita di Lenzini raramente si è ritrovata in chi ha gestito dopo di lui la Lazio. Era nato a Walsenburg, in Colorado, da una famiglia originaria di Fiumalbo, un piccolo paese dell'alto Appennino Modenese, che emigrò negli Stati Uniti. Al ritorno in Italia divenne imprenditore di successo nel ramo delle costruzioni civili, edificando nell'area nord-occidentale della Capitale (Valle Aurelia, Pineta Sacchetti). Nel 1964 entrò nella Lazio come consigliere per diventare presidente l'anno successivo. Esordì con una salvezza poi la retrocessione del 1969, da lì cominciò la costruzione la squadra dei campioni. Le vittorie, la malattia di Maestrelli, la morte di Re Cecconi e infine lo scandalo delle scommesse che nel 1980 decretò la fine della sua presidenza (lasciò al fratello Aldo). Infine l'oblio e il cuore che molla il 22 febbraio del 1987. Grazie di tutto, Umberto, nessun presidente sarà amato quanto te.