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Conte sogna il Colle ma rischia il posto

Il premier Giuseppe Conte

L'avvocato del popolo ha fatto il passo più lungo della gamba

Luigi Bisignani
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Caro direttore, in cuor suo Giuseppe Conte sogna il Quirinale, forse però rischia di ricevere lo sfratto da Palazzo Chigi. I report che arrivano dal cuore del sistema di potere grillino sono impietosi perché lo accusano di essere troppo autoreferenziale. Chi ha esaminato bene il “sistema Conte” è sicuramente Pietro Dettori, il manager che Casaleggio ha piazzato, al terzo piano di Palazzo Chigi, dove ha uno studio piccolo ma molto operativo, connesso con i mondi che contano, accanto alla Sala Verde e lungo il corridoio con le foto di tutti gli ex Presidenti. Trentadue anni, nato a Cagliari, laureato in comunicazione a Bologna, assunto dalla Casaleggio nel 2011 e social media manager dal 2012, è stato il primo baby sitter del Premier. E Rocco Casalino, messo un po' in disparte, è stufo ormai di mediare. Ma il problema del Movimento non può davvero limitarsi al premier. La storia insegna che Jean Jacques Rousseau, Robespierre e i suoi colleghi furono intransigenti interpreti degli umori del popolo francese e su questa scorta costruirono la rivoluzione, abbattendo il potere preesistente. Ma se ascoltare la pancia dei popoli è importante, governare è un'altra cosa. Infatti, dopo qualche tempo, furono molte le teste a cadere, compresa quella dello stesso Robespierre. Oggi, senza essere così cruenti, i 5Stelle stanno finalmente capendo che tra pancia e realtà è fisiologico avere corpi intermedi, che siano partiti, sindacati o organizzazioni imprenditoriali, perché la disintermediazione non paga. Per più di 60 anni le principali democrazie occidentali hanno beneficiato di corpi intermedi e sono stati gli anni di maggior progresso. E se fino a poco fa erano i partiti a voler assomigliare ai 5Stelle, adeguandosi al Movimento anche nell'uso forsennato dei social, oggi sono i 5Stelle che vogliono diventare più partito. La disfatta abruzzese ha portato a galla ciò che era già iniziato con la spartizione delle presidenze di Camera e Senato. Roberto Fico nel suo discorso di insediamento parlò di centralità del Parlamento, ma oggi tentenna sullo scranno più alto di Montecitorio con i deputati del Pd in rivolta. E non c'è Parlamento se non ci sono partiti. Così ora all'interno del Movimento, si discute di apertura alle liste civiche come teorizzava l'ex sindaco di Parma, all'epoca espulso per «apostasia». Ciò che era considerata una bestemmia, oggi, con più di qualche bue scappato dalla stalla, diventa dottrina e si «aprono» le porte del santuario grillino. Già questa contaminazione basterebbe a far gridare alla rivoluzione, ma c'è di più: la possibilità di abbattere il dogma dei due mandati, una linea finora ritenuta invalicabile. L'aspirazione a diventare partito passa anche dalle competenze dei futuri candidati, che ormai non solo dovranno apparire onesti ed essere rigorosamente disoccupati ma anche laureati e parlare l'inglese. Toninelli docet. Le prossime elezioni regionali sono in agguato, così come il voto sull'autorizzazione a procedere su Salvini. Se non della storia, i grillini dovranno almeno fare tesoro delle recenti esperienze altrui: l'Italia dei valori, Scelta civica, lo stesso Pd con un vanaglorioso Renzi. Oltre all'onesto Conte, anche Di Maio e Casaleggio rischiano di apparire come dead men walking se non corrono ai ripari. E la loro ghigliottina 4.0 sarà proprio la Rete. Lo stesso “macho” Salvini dovrebbe farci qualche pensierino.

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