A Matteo Renzi resta solo Flavio Briatore
Caro direttore, dopo la vittoria di Trump non ci sono dubbi: a Matteo Renzi in politica estera non gliene va bene una e forse con gli USA solo Flavio Briatore potrebbe ora aiutarlo. C'era da capirlo già quando il Premier aveva deciso di mandare a Bruxelles, come Alto Commissario, Federica Mogherini, la quale però si è accodata subito alla Germania. Altra gaffe fu, poco tempo dopo il suo arrivo a Palazzo Chigi, volare a Bucarest a benedire la corsa presidenziale di Victor Ponta, su suggerimento di Matt Brown, golden boy di Tony Blair. Un disastro. Ponta venne sconfitto. Quell'esordio non gli suggerì prudenza, sprezzante del pericolo il premier ha continuato a sfidare la sorte anche con le cancellerie di mezzo mondo. A settembre 2015 è corso a New York, alla conferenza «the future of impact» della Clinton Global Initiative, come atto d'omaggio a Hillary. Né il titolo del convegno né i sondaggi e i report che gli arrivavano dai Servizi e dalla Farnesina lo hanno fatto desistere. A fine ottobre si è precipitato anche alla festa di fine corso di Obama, con tanto di seguito cinematografico (Benigni-Sorrentino) disinteressato al fatto che un altro candidato potesse farcela. Poi, ciliegina sulla torta dell'insipienza, pure le dichiarazioni entusiaste della MinistraMaria Elena Boschi, a urne già aperte, in cui celebrava la prima donna Presidente degli Stati Uniti. A questo punto le difficoltà per la diplomazia italiana sono enormi, essendo, a differenza ditutte le altre, l'unico Paese che si è sbilanciato così tanto verso la Clinton. Renzi però si è tenuto un asso nella manica, Flavio Briatore, appunto. Il cinque volte campione del mondo, l'unico italiano che Donald Trump ha dichiarato pubblicamente di apprezzare. Vista allora la decisione di mandare per qualche mese un non diplomatico a Bruxelles, Carlo Calenda, Renzi potrebbe proporre oggi a Briatore di fare l'ambasciatore italiano negli States. Ma, a parte Briatore, un'altra strada per recuperare terreno con Washington, potrebbe essere quella di far triangolare il rapporto con Trump da Israele attraverso l'ex generale Michael T. Flynn, uno dei più vicini «backer» del neo presidente. Sempre che a Tel Aviv non abbiano già mangiato la foglia e aspettino il risultato del referendum. Oppure chiedere alla «nuova coppia» Leonardo Bellodi e Marco Carrai di rimettere in pista un loro amico repubblicano Michael Ledeen vecchia conoscenza dei nostri Servizi ai tempi di Sigonella e del delitto Moro. Molto più accorto, invece, si è rivelato SilvioBerlusconi, con il suo lungo viaggio a NewYork, e imperniato in una paziente opera di tessitura di nuovi rapporti. È chiaro che il Cavaliere, fine cultore di politica estera, faticherà meno di Renzi a farsi ascoltare oltreoceano. Speriamo comunque che la vittoria di Trump serva a Renzi per capire che con l'azzardo a volte ci suicida.