lavoro
Coronavirus: Consulenti lavoro, unità produttiva centrale per accesso ad ammortizzatori
Roma, 8 apr. (Labitalia) - Il riconoscimento dei requisiti necessari per l’accesso agli strumenti di integrazione salariale, nell’ambito del più ampio panorama dei c.d. 'ammortizzatori sociali', è riferito dal legislatore all’azienda e non al singolo lavoratore, seppure beneficiario ultimo della misura. È, dunque, necessario chiarire quali siano i parametri stabiliti dalla legge perché il datore di lavoro possa avere diritto all’accesso. Concetto cardine di questa parametrazione è quello di unità produttiva. E' quanto sottolinea la Fondazione studi dei consulenti del lavoro nell'approfondimento di oggi. Secondo i consulenti "il quadro, infatti, non appare mutato alla luce delle nuove norme in materia di trattamenti di cassa integrazione emergenziale". Per i professionisti "il dl n. 18/2020 infatti, pur sottraendo i richiedenti alla gran parte dei limiti normalmente previsti dal D.Lgs. n. 148/2015, fino a non richiedere l’anzianità di 90 giorni, ma soltanto l’essere in forza al 23 febbraio, non apporta modifiche significative al quadro essenziale di un impianto che, come detto, è preordinato e funzionale a garantire una risposta alle esigenze di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, così come disposte e dimostrate dal datore di lavoro, e per il loro tramite, e a tutelare la continuità retributiva dei dipendenti". "Datori di lavoro ai quali non a caso si rivolgono anche gli articoli da 19 a 22 del decreto 'Cura Italia'. Del resto, la centralità dell’unità produttiva (UP) ai fini dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali, consente un’armonizzazione con una modalità di computo delle singole settimane di integrazione salariale già fruite, ormai consolidata da parte dell’Istituto. In particolare, prima con circolare n. 58/2009 e poi con il messaggio 13719 del medesimo anno, l’Inps aveva sposato d’intesa col ministero del Lavoro un computo delle settimane di cassa integrazione che consentisse maggiore flessibilità", spiega ancora la nota dei professionisti. "I limiti massimi di utilizzo -continuano i consulenti- della integrazione salariale fruita vengono ad oggi computati non in relazione alle settimane intere di calendario teoricamente ricomprese nella autorizzazione concessa dall’Istituto (es. autorizzazione per Up di 10 lavoratori per 3.600 ore distribuite per n. 9 settimane dal 2 marzo al 3 aprile 2020), ma verificando le singole giornate di sospensione o riduzione di lavoro occorse all’interno del periodo autorizzato. Si considera cioè interamente goduta una settimana di cassa integrazione solo nel caso in cui la contrazione del lavoro registrata in UniEmens abbia complessivamente riguardato 6 o 5 giorni, a seconda dell’articolazione dell’orario di lavoro normale di lavoro". "Questo meccanismo appare -spiegano i professionisti- con tutta naturalezza applicabile anche alle singole ore autorizzate, sempre all’interno della unità produttiva, consentendo così all’impresa di presentare una nuova richiesta di autorizzazione nel caso in cui l’unità non abbia esaurito le ore autorizzate (nell’esempio 3.600 ore assegnate all’Up, di cui sono state godute soltanto 3.100). La nuova domanda di integrazione salariale potrà riguardare solo le 500 ore residue assegnabili all’Up e potrà quindi collocarsi anche successivamente al periodo di integrazione salariale già autorizzato (nell’esempio dopo il 3 aprile 2020)". "Pertanto anche in applicazione delle misure previste dal D.L. n. 18/2020, deve ritenersi che il riferimento essenziale rimanga quello aziendale, non essendo ipotizzabile, a normativa vigente, un diverso approccio, non apparendo in particolare plausibile l’eventualità della considerazione della durata massima di nove settimane come fruizione riferita ad ogni singolo lavoratore, perché ciò contravverrebbe alla funzionalità degli strumenti previsti, ed implicherebbe una pressoché impossibile sua attuazione", conclude.