Mandare a quel paese Juncker è un dovere. Ecco perché
Il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker per il cui il silenzio non è mai d'oro ieri è andato a complicare inutilmente il rapporto già non semplice con l'Italia. Dopo avere premesso con buona dose di ipocrisia “Non voglio umiliare in dichiarazioni pubbliche la Repubblica italiana”, ha iniziato il tiro al bersaglio sul governo di Giuseppe Conte in una intervista a politico.eu sostenendo che per la commissione l'Italia “si sta muovendo in una direzione sbagliata”, profetizzando pure che grazie alla procedura di infrazione sul debito eccessivo gli italiani saranno sotto scacco “per lunghi anni” . Juncker ha pure fatto la vittima, sostenendo di essere censurato dalle parti di Roma perché queste cose «nessuno in Italia le sa perché il governo italiano dà l'impressione che la Commissione sia contro il Sud Europa e questo è sbagliato». Al momento la sola risposta ufficiale ottenuta dal nostro governo è arrivata dal premier Conte accompagnata dal massimo di cortesia possibile: “Abbiamo un mandato a far crescere il paese: con massima ragionevolezza e senso di responsabilità siamo qui per far crescere il Paese, non per avviarlo su una china recessiva. Posso dire all'amico Juncker che anche lui ha sbagliato direzione con la Grecia. Siamo ben convinti di quello che stiamo facendo e della filosofia della nostra politica economica”. Ma è probabile che se anche nelle prime ore si sono morsi la lingua tacendo, non la manderanno a dire al presidente della commissione Ue i due vicepremier italiani, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Ora anche se non ci sono precedenti nella storia d'Europa (per questo la procedura è assai atipica), è un dato di fatto che l'Italia nel 2018 non sia risultata in linea con il percorso di riduzione del rapporto debito-Pil su cui si era impegnata con i partner del vecchio Continente. E allora? Avendo violato un patto, l'Europa ci vuole punire. La pena ventilata sulle prime sarebbe quella di una multa che può andare fino a 3,5 miliardi di euro. Conto salato e un po' illogico: se accusi qualcuno si spendere troppo, non vedo come possa essere d'aiuto farlo spendere di più. Ma il sistema di regole con le sue falle, è questo: si può discutere fin che si vuole, ma avendole sottoscritte a suo tempo non si può chiedere di non applicarle quando sei tu in fallo. Quel che ieri però hanno minacciato Juncker e i tecnici della commissione è assai diverso: anni di inferno ventilato non per il rifiuto dell'Italia a ridurre il proprio debito (giusto chiederle qualcosa di meno evanescente del piano di privatizzazioni promesso per il 2019 ancora tutto sulla carta), ma nell'ipotesi che Roma rifiuti di fare scrivere le prossime manovre economiche direttamente ai tecnici di Bruxelles. Questa pretesa è semplicemente inaccettabile, e fanno bene a resistervi sia Salvini che Di Maio. Giustamente Conte ha ricordato il più grande fallimento delle politiche imposte a un paese dalla tecnocrazia europea: quello della Grecia. Non solo i consigli seguiti in quel caso hanno messo in ginocchio l'intero paese per anni, snaturandone perfino l'identità e le radici. Ma è emersa con crudezza anche la falsa retorica sulla buona amministrazione propugnata da Juncker &c. Cito un solo slogan, che ha riguardato Atene ed è buono anche per Roma. Si è detto che l'eccesso di debito di un paese è specchio dell'egoismo delle generazioni adulte e più anziane, che vogliono vivere al di sopra dei propri mezzi scaricandone il peso sulle generazioni future. Sembrava che la Ue avesse mandato la troika proprio per liberare le generazioni future da quell'egoismo dei padri. Il loro problema è stato infatti risolto alla radice proprio dalle misure europee: grazie alla stretta di bilancio operata molte famiglie non hanno più potuto contare sulla sanità pubblica e molti bambini sono morti non potendo ricevere le cure necessarie. Con la ricetta europea è aumentata in Grecia la mortalità infantile del 43% ed è crollato il tasso di natalità. Ecco il futuro che i tecnocrati sono stati capaci di offrire alle nuove generazioni. Non c'è dunque bisogno di essere particolarmente sovranisti per dire con durezza alla Ue che la manovra economica in Italia la fa il governo scelto dagli italiani, e che le riforme o meno inserite lì dentro debbono essere quelle proposte agli elettori per avere il loro consenso, piacciano o meno agli altri partner europei. Noi non andiamo a dire a loro quali provvedimenti sia meglio adottare in Germania, Francia, Olanda o Lussemburgo e pretendiamo che sulle nostre ricette non ficchino il naso più di tanto nemmeno loro.