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Energia, parla Stefano Besseghini (Arera): "Crisi alle spalle. Serve il giusto mix gas-rinnovabili-nucleare"

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Alessio Gallicola

Quando Putin ha attaccato l’Ucraina, reduci com’eravamo dalla crisi Covid, che ci aveva fatto prendere dimestichezza col capitolo costi dell’energia, abbiamo pensato che lassù ci fosse qualcuno che ce l’avesse con noi.
Ma come, dopo il sovraccarico di consumi energetici per far trascorrere con tutti i comfort le lunghe giornate in isolamento arrivano le sanzioni alla Russia, dalla quale importiamo la maggiore quantità di gas? Una congiura. Da allora abbiamo scoperto che c’è in Italia un soggetto, l’Arera, che regola e controlla l’energia tutelando noi consumatori. Stefano Besseghini, che dell’Arera è il presidente, per carattere farebbe volentieri a meno di comparire in pubblico e nei servizi di giornali e televisioni, ma da allora ha dovuto fare i conti con la nuova realtà di esposizione mediatica. E ha iniziato con pazienza a farci entrare nel microcosmo dell’energia, fungendo da punto di riferimento per le questioni che da allora si sono sollevate in termini di costi, di bollette cresciute a dismisura e di soluzioni per il risparmio energetico.
E allora, nel momento in cui Il Tempo decide di iniziare un viaggio all’interno dell’energia, punto di svolta per lo sviluppo del Paese, è doveroso interpellare chi lavora con piani a medio e lungo termine per aiutare, insieme alle imprese del settore, l’Italia ad essere competitiva in Europa e nel mondo.

Presidente, partiamo dalle basi. A che ci serve Arera?
«Arera è un’autorità indipendente che nasce ormai trent’anni fa come regolatoria dell’energia ma progressivamente ha acquisito anche il settore idrico e molto recentemente anche del ciclo dei rifiuti e del telecalore. E’ una struttura che regola i mercati laddove ci sono, l’accesso ai mercati dove questi hanno caratteristiche particolari e in generale ha come obiettivo statutario la tutela del consumatore.
Dobbiamo partire dal presupposto che per esercitare quelle prospettive di medio-lungo termine cui si faceva riferimento bisogna pensare che alla base c’è sempre chi deve pagare il costo dell’energia».

La crisi Covid e guerra è terminata ma ha lasciato una coda che penalizza non tanto le grandi aziende e la fascia alta della popolazione quanto la classe media, quella middle class che va scomparendo. E’ così?
«È vero, la crisi ci ha lasciato una coda antipatica che va ad incidere soprattutto sulla classe media ma per onestà dobbiamo anche sottolineare che ci ha costretti a cambiare alcune componenti strutturali del nostro sistema. Ad esempio, noi per tanti anni ci siamo approvvigionati di gas dalla rotta nord, poi abbiamo dovuto convertirla in una rotta sud puntando sul gnl, il gas naturale liquido, che è un altro modo di procurarsi il gas. Ma al di là di questo una delle eredità di questo periodo, una leva che ci ha portato fuori da una fase estremamente violenta di crisi dei prezzi, è stata la capacità del nostro sistema di tutela efficace del consumatore. In particolare perle imprese cosiddette energivore e per le famiglie povere».

Ma perché i prezzi sono ancora così alti?
«Intanto perché la grande maggioranza delle nostre città è ancora alimentata a gas, che è costoso, lo importiamo prevalentemente dall’estero, anche se stiamo cercando di aumentare la produzione locale. Certamente le rinnovabili, che hanno un indubbio vantaggio in termini di costi, stanno aumentando in modo significativo ma non sono ancora in grado di dare un segnale probante sul piano generale. Di recente abbiamo fatto partire un’indagine in tal senso, di cui avremo i risultati spero a breve. Il tema che pesa molto è il differenziale di prezzo che abbiamo con gli altri Paesi europei, specie Francia e Germania, che hanno rispettivamente il nucleare e il carbone, strumenti di generazione dell’energia che magari sono meno virtuosi dal punto di vista ambientale ma certamente risultano più efficaci sul piano del costo. Va detto che noi riusciamo a bilanciare con i nostri strumenti di protezione alle aziende energivore».

Un gap da sanare, dunque. Con quali soluzioni e soprattutto con che tempistiche?
«Intanto va chiarito che il settore energetico ha un orizzonte di lungo periodo, le decisioni che si assumono oggi mostrano i loro frutti nel giro di qualche decennio».

Allora andiamo con ordine: nel breve che si può fare?
«Nel breve si deve vigilare sui comportamenti speculativi, concordarea livello europeo politiche di allineamento ai costi dell’energia per le industrie. E promuovere l’autoconsumo, le Comunità energetiche ma anche l’autoconsumo condominiale, in cui i condomini si mettono assieme e consumano l’energia che producono».

A medio termine?
«Continuare nel percorso di penetrazione delle rinnovabili, non perdere quel timing che stiamo avendo, siamo in una fase che ci ha visto crescere notevolmente negli ultimi tre anni».

E a gioco lungo?
«A lungo termine va fatta una riflessione sul nucleare (che il governo stagiàfacendo) e sulla decarbonizzazione del gas, che ci possono aprire la possibilità di controllare meglio i costi dell’energia per diversi settori economici, consapevoli che la singola tecnologia non ci risolverà i problemi. Ma dovremo lavorare per trovare quelle tecnologie che meglio rispondono alle nostre esigenze».

Quindi il famoso mix energetico, considerato che, come si dice, l’energia è un sistema non complicato ma complesso
«Sottoscrivo questo approccio. C’è una definizione che i tecnici usano, quella del trilemma energetico, una specie di tavolino atre gambe: la prima è la sicurezza della copertura, la seconda è il costo dell’energia, la terza è la sostenibilità energetica. Ci sono stati periodi della nostra storia in cui una gamba ha prevalso sulle altre, non permettendo al tavolino di stare correttamente in equilibrio. La lezione che ci portiamo dietro da questa crisi è appunto questa: dobbiamo equilibrare il sistema».

Altro problema le reti, le infrastrutture che a tutti i livelli nel nostro Paese rappresentano una questione ancora aperta
«Dal punto di vista generale il sistema ha retto anche grazie agli investimenti in automazione, che ci hanno permesso di resistere a penetrazioni di rinnovabili molto violente. Ricordo che nel nostro Paese nel 2011 sono stati installati quasi 11 Gigawatt di potenza fotovoltaica nuova senza creare particolari problemi al sistema. Quindi abbiamo un sistema tutto sommato adeguato e moderno, il che non vuol dire però che possiamo sederci sugli allori o guardarci alle spalle, perché i problemi continuano ad esserci».

Non è anche un problema di maggiore richiesta di energia da parte di soggetti privati e aziende?
«Assolutamente. Per capirci, una volta chi immetteva energia nella rete era qualche decina di migliaia di soggetti nelle città, oggi sono milioni di soggetti. Per cui la rete deve rispondere ad altissimi livelli di sollecitazione. E quindi anche se è stata costruita con elevati standard di qualità, va aggiornata. Senza fare discorsi troppo alti, facciamo un esempio casalingo: prima l’elettrodomestico che consumava di più era il frigorifero, per chi ce l’aveva era lo scaldabagno. Oggi un condizionatore o una piastra a induzione sono all’ordine del giorno nelle nostre case. E questo porta la potenza casalinga ben oltre i 3 kilowatt previsti. Poi arriverà la mobilità elettrica con nuove sollecitazioni».

A proposito di sollecitazioni, negli ultimi tempi abbiamo imparato afare i conti con gli eventi atmosferici. Terremoti e alluvioni mettono in dubbio la sicurezza delle infrastrutture. O no?
«Sì, basti pensare ad un’azienda che deve prevedere investimenti in caso di eventi atmosferici. Se questi eventi in media si presentano ogni due anni, va fatto un tipo di investimento; ma se invece le tempistiche si riducono occorre ripensare tutto».

Insomma, dal suo osservatorio vede un’Italia che ce la farà a superare l’atavica dipendenza in termini di produzione di energia e a diventare un modello virtuoso?
«Siamo sicuramente un Paese che ha fatto tutti i compiti a casa ed è anche in grado di insegnare agli altri come si fa. Sono vicepresidente di un’associazione che unisce i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e posso dire che dallo scambio di esperienze si evince che siamo in una posizione di rilievo. Credo che ce la faremo, un po’ perché sono ottimista per natura ma anche perché dal mio osservatorio tengo monitorata costantemente la situazione e vedo che riusciamo come e meglio degli altri a trovare le soluzioni adeguate».