class action contro pechino
Dagli Usa all'Italia un esercito di avvocati per chiedere risarcimenti alla Cina
Il mondo ora si muove per chiedere risarcimenti alla Cina per la pandemia di coronavirus. Un esercito di avvocati al lavoro contro il governo cinese. Dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, ma anche in Italia e perfino in India si promuovono class action contro le autorità di Pechino per le loro presunte responsabilità nella pandemia di Covid-19. L’accusa alla Cina è di non aver agito tempestivamente per evitare una crisi sanitaria che a livello globale sta avendo conseguenze economiche pesantissime, con decine di milioni di disoccupati e Pil nazionali in caduta libera. Richieste di risarcimenti miliardari accomunano le varie iniziative in giro del mondo. In Italia la onlus Oneurope è quella più avanti, come spiega all’Adnkronos il chief financial officer e responsabile del progetto Ferdinando Perone, secondo il quale «sembrerebbero apparire evidenti delle responsabilità delle autorità cinesi che non avrebbero attivato le misure di contenimento e comunicazione previste dalle normative internazionali». Il regolamento sanitario internazionale, infatti, prevede che venga notificato all’ Oms entro 24 ore qualsiasi evento che possa rappresentare un’emergenza di sanità pubblica di rilievo internazionale. «Questa comunicazione non è stata effettuata», sottolinea Perone. La pagina prova per il lancio della class action è online da ieri pomeriggio (https://www.covid19classaction.it), ma ha già avuto 335 contatti. «Pensiamo di raccogliere le adesioni ad aprile e maggio per poi farla partire a giugno», dichiara Perone, ricordando che a causa del Covid-19 «i tempi sono dilatati perché tutti i tribunali sono fermi» e precisando che i promotori della class action si impegnano a chiedere la somma simbolica di un euro perché «non stiamo speculando». L’azione del Missouri è solo l’ultima delle cause intentate negli Stati Uniti contro la Cina. Come quella di tre cittadini di New York che hanno denunciato anche l’Organizzazione mondiale della sanità, accusandola di collusione con Pechino. In California un gruppo di piccole imprese ha citato in giudizio la Cina, la città di Wuhan e la commissione Sanità della Cina per aver taciuto, sebbene fossero a conoscenza di un virus altamente mortale da metà novembre. Un’altra class action in Texas viene portata avanti dall’avvocato e fondatore del gruppo Freedom Watch, Larry Klayman, che ha accusato la Cina di aver sviluppato un’ «arma biologica» e ha chiesto come risarcimento la cifra astronomica di 20 trilioni di dollari. In Florida il ’Berman Law Group’ ha promosso una class action che ha raccolto oltre 10mila adesioni contro il partito Comunista cinese per negligenza. Ci sono poi iniziative individuali come quella dell’avvocato di Mumbai, Ashish Sohani, che ha denunciato il presidente Xi Jinping e altri quattro alti ufficiali cinesi alla Corte penale internazionale chiedendo un risarcimento di 2.5 trilioni di dollari per la perdita di vite umane e danni economici a favore del governo e del popolo indiani. Secondo il legale, i tentativi di Pechino di minimizzare il coronavirus equivalgono a un «tradimento dell’umanità». In Italia, infine, ha fatto scalpore di recente l’iniziativa dell’Hotel De La Poste di Cortina d’Ampezzo che ha citato per danni il ministero della Sanità della Repubblica popolare cinese davanti al Tribunale di Belluno. Secondo l’Hotel, i responsabili cinesi non avrebbero tempestivamente segnalato all’ Oms lo stato del diffondersi del virus. «Ora che cominciano ad emergere le responsabilità, ora che appare evidente la pericolosa mancanza di trasparenza che ha caratterizzato la prima fase, sottaciuta, dell’emergenza, ho sentito la necessità di agire in prima persona per chiedere, anzi, esigere, un’assunzione di responsabilità», ha commentato il titolare della struttura, Gherardo Manaigo.