rabbia nel lazio
Coronavirus, i medici contro Zingaretti: "In guerra a mani nude"
Altro che App, servono i Dpi (dispositivi di protezione individuali), oltre ai tamponi e ai prelievi a domicilio. La «prescrizione» è firmata da ben 4 sindacati dei medici di famiglia, in rivolta contro la Regione Lazio. Messa all’indice anche dall’Anaao, il sindacato dei medici ospedalieri, che ha presentato un esposto in Procura. Mentre l’Ordine dei medici di Roma e provincia chiede che non «si peggiori l’attuale drammatica situazione mandando in guerra medici e tutto il personale sanitario con le scarpe di cartone e senza elmetto. Non è tollerabile in un paese civile. Obbligare proprio i medici a contrastare il nuovo coronavirus a mani nude cercando, per di più, di arruolare giovani professionisti, in maggioranza donne, e mandarle allo sbaraglio non è più accettabile». I 4 sindacati dei camici bianchi ricordano, infatti, che «il Governo Conte ha stanziato soldi per fronteggiare l’emergenza Covid-19. Tali fondi dovevano essere utilizzati per l’assunzione di unità speciali per fronteggiare la pandemia in essere. Le Unità formate devono essere dotate di tutte le misure di biocontenimento adatte. E la Regione Lazio che fa? Compra la progettazione di una APP, a chissà quale costo, e propone l’utilizzo di strumentazioni per monitorare a distanza i pazienti in quarantena. Noi Medici del territorio, già stiamo fornendo giornalmente questo tipo di assistenza», ricordano i sindacati Smi, Snami, Simpef e Cipe-Sispe-Sinspe. «Non abbiamo bisogno di APP, come quella prevista dall’Ordinanza regionale, ma riteniamo necessario che qualcuno vada, su nostra indicazione, a fare tamponi, prelievi a domicilio o altri accertamenti necessari per quei pazienti che devono essere sorvegliati, e dobbiamo cercare di non ospedalizzarli - avvertono i responsabili regionali dei 4 sindacati - Non si può pretendere che i medici di Medicina generale vadano a domicilio dei pazienti critici senza idonea protezione e senza poter seguire tutte le indicazioni previste per evitare la diffusione del virus, in quanto sprovvisti di idoneo equipaggiamento. Ci chiediamo - concludono Ermanno De Fazi, Giuseppe Di Donna, Antonio De Novellis, Teresa Mazzone e Antonio Palma - se l’assessore D’Amato sa cosa comporta attrezzarsi per un biocontenimento, ovvero conosce come si effettua una vestizione di protezione per recarsi al domicilio del malato e le misure da adottarsi dopo l’esecuzione della visita. Con medici che dovessero mettersi in quarantena e ammalarsi, si rischia di decapitare ancora di più l’assistenza ai cittadini del Lazio. La Regione può accedere ai fondi stanziati dal Governo, ma li deve usare, secondo noi, in maniera appropriata». Mentre il sindacato Anaao ha presentato un esposto in Procura per chiedere di «valutare se nella situazione in cui sono costretti a lavorare gli operatori sanitari, si possa ravvisare la violazione delle norme in materia di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro». Il segretario regionale, Guido Coen Tirelli, segnala infatti «gravi carenze delle FFP2 e FFP3 per medici che devono eseguire procedure invasive o che generano aerosol». Come i «molti medici delle terapie intensive e del sistema 118 Laziali, che operano sprovvisti di maschere FFP3, fatto gravissimo. A peggiorare il già critico quadro designato, si aggiunge il fatto che, considerata la scarsità di tamponi naso-faringei, non è possibile testare il personale sanitario entrato a contatto col virus, con la conseguenza che quanti hanno effettivamente contratto il virus, non adeguatamente equipaggiati, continuano a lavorare da infetti, con conseguente, esponenziale aumento del rischio clinico per gli stessi e per i pazienti con cui entrano in contatto».