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Conte s'è Mes nei guai

Il premier cerca lo scontro personale con Salvini ma sul salva-Stati non spiega nulla

Franco Bechis
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Ieri doveva essere il giorno della verità per il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte. Davanti alle Camere avrebbe dovuto sciogliere tutti i dubbi avanzati anche da autorevoli tecnici sulla bozza di riforma del Meccanismo di stabilità europeo e dell'Unione monetaria. Ma la grande attesa è stata inutile. Perché Conte è riuscito a non dire nulla per 28 lunghe e noiose pagine, e la sola cosa che ha riempito di contenuti è la contesa personale che ha da qualche tempo con il leader della Lega, Matteo Salvini. Ognuno dei due è fortemente antipatico all'altro, ed è emerso  anche ieri. Ma sono fatti loro: se la risolvano un giorno all'alba con un duello all'antica, così non ci annoieranno più con le loro beghe. Conte infatti non era chiamato a spiegare in Parlamento - come ha fatto - la sua repulsione per Salvini che ora si accompagna pure a stizza nei confronti di Giorgia Meloni, ma a chiarire se era intervenuto - come lo aveva impegnato a fare il Parlamento - in sede di consiglio di Europa e di Eurogruppo il 21 giugno scorso per cambiare due passaggi di quella riforma critici per l'Italia. Tutti abbiamo chiaro che se mai quell'intervento ci fosse stato, comunque sarebbe andato a vuoto perché i due punti critici c'erano prima e sono identici nel testo attuale. Magari il premier ci aveva provato, portando a casa un terribile insuccesso, e sarebbe stato interessante ascoltare i suoi eventuali sforzi. Lui però non ne ha fatto alcun cenno, sciorinando vuota retorica, frasi prive di qualsiasi significato, documenti a supporto dove era contenuta al massimo l'acqua fresca. L'unica frase ripetuta più volte è che lui avrebbe costretto tutti gli altri capi di Stato europei a piegarsi a una «logica di pacchetto». Che cosa questo significhi è misterioso: sono andati tutti insieme dal tabaccaio a comprare un pacchetto di Marlboro o altre bionde? O la «logica di pacchetto» veniva dalla vicinanza al Natale della data della firma del trattato (11 dicembre)? La bella frase nulla dice però del compito che gli aveva dato il Parlamento. Infatti ieri erano tanti i musi lunghi dopo le supercazzole del premier, e le facce più scure erano nei banchi M5s, prima fra tutte quella di Luigi Di Maio. La sensazione dopo questo passaggio in aula è - per dirla con un gioco di parole - che per Conte si sia Mes piuttosto male. Nei corridoi di palazzo esponenti della maggioranza ieri non escludevano per la prima volta una crisi di governo a breve, dopo le vacanze natalizie. Per approfondire leggi anche: Le reazioni di Salvini durante l'intervento di Conte sul Mes Ma andiamo al cuore della vicenda non affrontata da Conte. Per spiegarla prendo a prestito le parole di un insospettabile: Giampaolo Galli, ex deputato Pd, ex dg Confindustria, economista che negli anni ha lavorato per la Banca d'Italia e per il Fmi. Non volendolo, è stato proprio lui a sollevare il dramma Mes in un'audizione del 6 novembre scorso. Ecco il primo punto spiegato da Galli: «Il punto fondamentale è che nella riforma che viene proposta emerge, in modo implicito ma abbastanza chiaro, l'idea che un paese che chiede aiuto al Mes debba ristrutturare preventivamente il proprio debito, se questo non è giudicato sostenibile dallo stesso Mes. Si noti che la novità non sta tanto nella possibilità che un debito sovrano venga ristrutturato – cosa che è già avvenuta nel caso della Grecia - ma nell'idea che la ristrutturazione diventi una precondizione, pressoché automatica, per ottenere i finanziamenti. L'idea che si debba stabilire una regola che obblighi alla ristrutturazione un paese che chiede l'accesso ai fondi del Mes e abbia un debito giudicato non sostenibile è stata espressa ripetutamente da esponenti di primo piano dell'establishment tedesco e di altri paesi del Nord Europa, quale ad esempio il governatore della Bundesbank Jens Weidemann». Allora, sintetizzo: per chi è stato pensato il Mes? Quale era il paese euro con lo spread più alto? E quello con il debito pubblico più alto? Semplice: l'Italia. L'Italia è il paese che domani più di tutti gli altri correrà il rischio di avere bisogno di un prestito dal Mes. Ma una volta chiesto si sentirà rispondere in automatico (questo spiega Galli): «Prima ristruttura il tuo debito, che non è sostenibile». Come avverrebbe questa ristrutturazione? Galli lo ha spiegato proprio con l'altro passaggio critico del Mes: «Punto 12B del preambolo. Qui si riprende un concetto che c'era già nella precedente formulazione, ma che in questo contesto assume un significato assai più pregnante: si tratta del concetto di PSI, ossia "Private Sector Involvement", una perifrasi per ristrutturazione del debito. Questa espressione fu utilizzata da Angela Merkel e Nicholas Sarkozy nella famosa passeggiata di Deauville il 18 ottobre del 2010 ed ebbe un effetto deflagrante sui mercati finanziari dell'eurozona. Il senso che oggi si vuole dare a questa espressione è chiaro alla luce di quanto viene affermato prima e cioè che il MES fa credito solo a paesi il cui debito è giudicato sostenibile». Mettiamoli insieme: l'Italia si trova nelle condizioni di chiedere un prestito, il Mes (e non più la commissione europea) le risponde: «Prima devi ristrutturare il tuo debito pubblico». Come? «Coinvolgendo anche i privati». Questo significa che chi avesse in mano in quel momento titoli del debito pubblico italiano, o singoli risparmiatori, o banche e istituzioni finanziarie dovrebbero prepararsi o al congelamento dei rimborsi o alla riduzione del valore di quei titoli in conseguenza della ristrutturazione. Non vi sembrano due passaggi delicatini? A Conte evidentemente no.

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