Se le porti via il cuore la Roma non ha futuro
Un paio di ore prima della annunciata conferenza stampa di Francesco Totti sul proprio profilo twitter la A.S. Roma scriveva: «17 giugno. 18 anni fa diventavamo Campioni d'Italia per la terza volta», e sotto partivano le immagini dei 3 goal con il Parma che avevano consentito di cucirsi lo scudetto sulla maglia. Il primo- il 13° in stagione- era proprio di Totti che già allora faceva il capitano della squadra alla testa di gente come Gabriel Batistuta, Vincenzo Montella (autori degli altri due goal), Damiano Tommasi, Vincent Candela, Eusebio Di Francesco e tanti altri. Quel ricordo in una giornata come quella di ieri è sembrato un suicidio societario: diceva che sono passati già 18 anni dall'ultima volta che la Roma ha vinto uno scudetto e che invece di ripetersi come accadde nel 2001 quest'anno la squadra è finita al sesto posto in campionato, fuori pure dalla Champions League. Non solo: Totti era l'ultima immagine conservata a Trigoria di una Roma che vince, oltre ad essere non solo la bandiera, ma l'anima stessa della società. Ieri siamo arrivati a un divorzio fra Francesco - che in questa città è una sorta di San Francesco e conta di più di quello che sta Oltretevere - e James Joseph Pallotta jr, il presidente della Roma che a Roma non si vede mai. Come in ogni divorzio dove il cuore è sanguinante sono volati i piatti e partiti sberloni tremendi. Li troverete tutti in queste pagine, quindi non li ripeto. Ne cito due per dare l'idea: Francesco ha detto in conferenza stampa che nello staff di Pallotta c'è chi esulta più per le sconfitte che per le vittorie (in effetti scarsine quest'anno) della squadra. Quelli in un comunicato ufficiale gli hanno replicato che per fare il dirigente bisogna imparare a lavorare, come se Totti fosse uno sfaticato. Riassumo anche la sostanza del divorzio: Francesco dice che in società non gli facevano proprio toccare palla, e che era burla inutile sentirsi proporre in extremis la qualifica di direttore tecnico, quando manco lo hanno consultato per assumere il nuovo allenatore della squadra. La società replica che lui non era preparato per un incarico manageriale di quel livello (ma glielo hanno offerto essendo pazienti...). Non mi infilo fra i piatti che volano, perché altrimenti il lettore non ci capirebbe nulla. Prima di distribuire patenti di competenza in giro chiederei a Pallotta e ai suoi che capacità manageriali abbia dimostrato un team che nel giro di un mese si è perduto in due tunnel senza uscita come quelli del caso Daniele De Rossi e del caso Totti. O lavori per la Lazio, o è impensabile che dei manager riescano a distruggere valore, simboli e bandiere di una società di calcio in questo modo rompendo il rapporto con quella tifoseria che garantisce gran parte delle entrate societarie. È un caso da manuale di come non si amministra una società quotata che andrebbe insegnato in ogni facoltà di economia. Non sono un tifoso giallorosso: sono nato e cresciuto a Torino da juventino. I miei tre figli però sono nati a Roma e il primo maschio è sfegatato romanista. Ai padri toccano doveri, e quando era piccolo talvolta lo portavo allo stadio con la maglia di Totti. Ricordo la sera in cui entrai con lui all'Olimpico, sentendo i cori, vedendo i colori e avvertendo il calore dei tifosi mi sono commosso: non avevo mai visto nulla di simile. Dico una bestemmia per un tifoso: non ho faticato (solo negli incontri di Champions) a scattare in piedi esultando con il figlio quando Totti o qualcun altro dei suoi segnava. Roma è una città così: tutta cuore, vibra di sentimento ed è impossibile non esserne contagiati e rapiti anche al di là di ogni razionalità. Ci si innamora perdutamente di Roma. E Totti non solo è romano fino alla radice dell'ultimo capello, ma è il testimonial naturale di questo. Lo capisce chiunque all'estero, come l'hanno compreso in questi anni perfino i tifosi di squadre avversarie. Non l'ha capito Pallotta, per un motivo molto semplice: in questa città non vive e non soggiorna nemmeno da turista per caso. Si è infilato in una avventura finanziaria come se la As Roma fosse una qualsiasi società per azioni, e la osserva da conti economici e diagrammi che nulla raccontano di vero. Senza anima quella squadra non ha valore nemmeno economico, e l'anima sono i De Rossi e più di ogni altro Totti. È un grave errore economico averlo fatto scappare così e consegnarlo a un altro destino. Non si può davvero permettere. Sia Pallotta il primo a ritagliare il tagliando qui in pagina e inviarlo come supplica al nostro indirizzo di posta elettronica: [email protected]. P.S. A Francesco ieri è scappata una battuta infelice nei confronti del nostro Alessandro Austini (sostiene che solo il 5% di quello che scrive sia vero). Naturalmente noi come tutti possiamo commettere errori, ma il mestiere lo facciamo sempre con professionalità, raccontando fatti talvolta graditi e altre volte sgraditi. Non posso concedere a nessuno di metterlo in dubbio.