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L'Ini nei guai per l'acquisto della ex casa di Scajola al Colosseo

La casa di Scajola al Colosseo

Comprata con i fondi risparmiati per gli ammortizzatori sociali

Angela Nicoletti
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Immagini sconvolgenti. Video che immortalano come vengono impropriamemte utilizzati i pazienti disabili nelle cliniche gestite dall'Istituto Ini (Istituto Neuro traumatologico Italia). A consegnare i filmati alla Procura di Roma sono stati alcuni dipendenti stanchi di dover vedere i malati impiegati in mansioni specifiche, che invece spettano al personale ausiliario. In pratica, secondo la denuncia approdata sul tavolo del sostituto procuratore Paolo D'Ovidio, per la carenza di dipedenti, alcuni giovani ospiti sono costretti a fare da «sentinella» a quelli con disturbi e patologie più gravi. «Questo perché la proprietà non ha inteso incremenetare, come invece per Legge, quelle figure essenziali per un recupero adeguato dei pazienti - spiegano dal sindacato Sincel, nella persona del segretario confederale - Dai filmati, perché tanto è il materiale in possesso della Procura, è possibile vedere anche il cibo fornito ai degenti e come vengono "ammassati" durante le lore di svago». Le indagini sull'Istituto Ini, capeggiato da Delfo Faroni hanno avuto il via lo scorso anno quando, sempre lo stesso sindacato, ha deciso di informare l'autorià giudiziaria di come venivano gestiti i fondi per la Solidarietà concessi a favore delle strutture sanitarie del Gruppo presenti oltre che a Roma e Frosinone anche in provincia de L'Aquila.   L'inchiesta, avviata dal sostituto procuratore D'Ovidio e dai carabinieri del Comando Tutela del Lavoro di Roma, ha consentito di far emergere un presunto raggiro che il Gruppo Ini avrebbe architettato ai danni dello Stato. Secondo gli elementi raccolti fino ad oggi gli indagati, Delfo Faroni, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione, il figli Cristopher Simone Lucano e Jessica e l'amministratore delegato Ini, Nadia Proietti, avrebbero utilizzato il danaro proveniente dagli ammortizzatori sociali, oltre quindici milioni di euro in quattro anni ed indebitamente percepiti, per acquistare lussuosi appartamenti a Roma e nel Lazio e per sanare parte dei debiti dell'Istituto che opera nel settore sanitario e nella riabilitazione post-acuzie. Tutti e quattro, una volta conclusa l'inchiesta, potrebbero rispondenre di associazione a delinquere finalizzata alla truffa in concorso tra loro «poiché al fine di perseguire un medesimo disegno criminoso, ed assicurarsi un ingiusto profitto, mediante artefici e raggiri consistiti nel dislocare valori materiali e finanziari in altre società collegate per poi certificare una crisi aziendale ed un inesistente esubero di personale, traevano in errore gli enti pubblici preposti, ottenendo il contributo di solidarietà di euro 3.912.864.66 relativo al periodo 1/08/2013-31/07/2014, reiterando la condotta criminosa per i successivi periodi 1/08/2014-31/07/2015; 01/12/2015-31/12/2016 in ‘contratto di solidarietà».   Le indagini, supportate da decine di verifiche ed accertamenti bancari e patrimoniali oltre che da testimonianze, hanno fatto emergere l'atto di acquisto preliminare, da parte di una società del gruppo Ini, la Fler srl che detiene le quote totalitarie di Ini Spa Unipersonale, di un appartamento situato a Roma, in via Colosseo e precedentemente di proprietà dell'ex ministro Scajola; di un appartamento situato in viale Parioli sempre a Roma e di un locale in via del Cardello. Una serie di operazioni immobiliari dal costo di quasi cinque milioni di euro ed avvenute tutte nel 2015 quando già il Gruppo Ini usufruiva degli ammortizzatori sociali. Non solo. Come evidenziato dalla relazione stilata dal consulente del Lavoro incaricato dalla Procura di Roma, «l'attività economica Ini spa non è solo quella di una struttura sanitaria privata ma anche di attività connessa ad operazioni finanziarie ed acquisizione/cessione societarie o immobili». La vicenda ha scosso profondamente l'opinione pubblica fino al punto che, un imprenditore cassinate, Niki Dragonetti, ha inviato una lettera aperta al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, al governatore del Lazio, Nicola Zingaretti e per conoscenza al magistrato titolare delle indagini. Uno scritto nel quale Dragonetti pone importanti quesiti e con il quale punta il dito anche sul modo di lavorare del direttore generale dell'Azienda Sanitaria di Frosinone, il commissario straordinario Macchitella: «Chi doveva controllare se le certificazioni, documenti, relazioni ufficiali corrispondessero al vero? Perché il Commissario della Asl Frosinone non ha mai controllato in maniera adeguata questa struttura e i documenti dalla dirigenza presentati? Risulta sempre dalla denuncia presentata dal sindacato, che a seguito di una ispezione della Asl avvenuta nel 2016, e a seguito della quale è stata registrata una carenza di personale, il Gruppo Ini ha effettuato 32 assunzioni di cui 17 a tempo indeterminato e 15 a partita iva. Qualcuno si è preso la briga di chi fossero le persone assunte. In base ad un elenco della pianta organica fornito dal sindacato, molte delle persone citate al suo interno e contrattualizzate risultano essere o non in forza alla struttura in questione, o decedute, o pensionate».

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