DISASTRO ANNO SANTO
Ecco come il Giubileo di Papa Francesco si è trasformato in un flop
«Roma ha urgente bisogno di questo “supplemento d’anima” per essere all’altezza della sua vocazione e delle nostre attese di speranza». Così il Cardinale Vicario Agostino Vallini concludeva la sua lettera aperta alla città di Roma il 9 novembre 2015, dopo aver sottolineato i mali «vecchi e nuovi dell’Urbe», come «il degrado delle periferie con le guerre tra poveri, l’indigenza, l’integrazione, il malfunzionamento dei servizi, a cominciare dal trasporto pubblico». Eravamo a un mese esatto dall’apertura della Porta Santa di San Pietro che, l’8 dicembre di un anno fa ha dato inizio al Giubileo della Misericordia, indetto da papa Francesco «a sorpresa» il 13 marzo 2015. Sarebbe dovuta essere la più classica delle «manne dal cielo» per risollevare una Capitale ridotta al collasso da un crisi che sembra non avere fine, e dare impulso a un’amministrazione, quella guidata dall’ex sindaco Ignazio Marino, sin troppo distratta dalle difficoltà, fisiche e morali, di una città decadente. Ci aveva già provato monsignor Rino Fischella, a capo della macchina organizzativa del Giubileo, che a maggio lanciò il «percorso protetto» dai vu’cumprà per i pellegrini, assaltati oltremisura dai venditori abusivi di chincaglierie varie. «Basta arrivare nei pressi del Vaticano per vedere che c’è di tutto - disse nel maggio 2015 Fisichella -. Da chi vende macchinette per il selfie agli oggetti più svariati». Un vero e proprio suk dal quale si vuole che i pellegrini siano al riparo. «Per loro - ha insistito - deve essere un momento di preghiera». E sì, le aspettative per questo Giubileo erano altissime, complice la memoria storica del «grande» Anno Santo del Duemila, quando la città riuscì a cambiare volto con grandi opere e infrastrutture, a partire dal sottopassino, piani straordinari per rendere più vivibile la città, come ad esempio il piano pullman. Nulla di tutto ciò che ci si aspettava è accaduto. Non solo la «luce» di speranza e di fiducia non si è mai accesa ma a conti fatti le cose sono andate anche peggio. TERRORISMO Poco prima dell’apertura della Porta Santa, l’8 dicembre, ed esattamente un anno fa, il 13 novembre, i terribili attentati di Parigi fecero sprofondare il mondo intero, e soprattutto l’Europa, in una paura simile a quella dell’11 settembre 2001. Uno choc psicologico collettivo che ha comunque pesato sulla mobilità delle persone che, come tutti i dati di categoria confermano, hanno preferito spostarsi il meno possibile. Un risvolto positivo comunque c’è stato, ed è quello della sicurezza. Nonostante gli allarmi, le continue minacce dell’Isis proprio a Roma e al Vaticano, il sistema ha funzionato alla perfezione. CRISI ECONOMICA Nonostante promesse e speranze, la crisi non solo non è finita ma non si è neanche attenuata. E questo vale sia per il turismo sia per il commercio, nondimeno per gli investimenti messi in campo dagli operatori, a partire dal logo di Roma per il Giubileo. Il turismo definito «buono», ovvero quello "ricco" e disposto a spendere non solo in alberghi ma anche nei negozi di lusso della Capitale ha preferito altre mete, un po’ per la psicosi del terrorismo, un po’ per la paura che l’Anno Santo avrebbe attratto milioni e milioni di persone, rendendo la città meno vivibile. Il risultato è stato un via vai centellinato di pellegrini «mordi e fuggi» che poco o nulla hanno portato alla città. CAMPIDOGLIO A «TRE TESTE» A pesare non poco sul «flop» del Giubileo lo tsunami politico che proprio in questo Anno Santo, ha visto alternarsi alla guida di Roma Capitale il chirurgo dem, Ignazio Marino, il commissario straordinario Francesco Paolo Tronca, e il sindaco grillino Virginia Raggi. Tutto in meno di dodici mesi. E non sarà forse un caso che la «caduta» di Marino dal Campidoglio sia avvenuto poco dopo le affermazioni di papa Francesco, in merito al suo viaggio negli Stati Uniti, che fecereo il giro del mondo: «Non ho invitato io il sindaco Marino, chiaro?». Un sigillo papale a una fine annunciata. La fine di un’epoca politica che ha avuto, sta avendo, e ancora per molto avrà, delle ripercussioni a pioggia sull’intero sistema città. A partire proprio dalle opere previste per il Giubileo, la paralisi prima politica poi amministrativa ha fatto sì che soltanto una minima parte dei cantieri previsti prendesse vita e che diversi milioni di euro non siano stati neanche spesi per «blocco burocratico». Insomma, congiuttura più negativa, forse non poteva esserci. SERVIZI E ACCOGLIENZA Tra le cose, paradossali, che si ricorderanno quella delle nomadi alla Stazione Termini «travestite» da hostess per offrire «accoglienza» agli stranieri. Un’accoglienza celermente trasformata in borseggio. Ecco, è forse questa la foto emblematica di quella sfida fallita di una Capitale ridotta al collasso. Dai trasporti pubblici alla sosta selvaggia dei pullman turistici, ai punti di informazione turistica aperti ormai con il lumicino alla cosa più banale di una grande città a vocazione turistica mondiale: la segnaletica. Di fatto inesistente o, laddove presente, persino fuorviante. Una banalità certo ma che evita l’intromissione di furbi e furbetti che impovvisandosi buon samaritani o finte guide abboccano l’ignaro che si ritrova, puntualmente, con il portafogli più leggero. ASPETTANDO IL 2025 Il prossimo appuntamento è per il Giubileo del 2025, quello «canonico» per intenderci. Otto anni pieni, o nove scarsi a dir si voglia, potrebbero bastare per mettere in cantiere, stavolta sì, quelle grandi opere in grado non solo di attrarre investimenti nella Capitale ma di cambiarne il volto. Come fu per il Giubileo del 2000. Occorrerebbe però partire subito, perché se in un paese normale rifare le strade, creare nuove infrastruttre viarie, intervenire sulla mobilità, otto anni sono un tempo «congruo», da noi rischia invece di rappresentare, ancora, l’alba di una nuova stagione di lungaggini, sprechi, inchieste giudiziarie e una valanga di carte bollate. Un «lusso» che tuttavia non ci si può più permettere ma che la classe dirigente stenta a capire. La paura, stavolta, è che con i grillini al governo capitolino si preferisca l’immobilismo. E in questo la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024 la dice assai lunga. Un’altra incredibile occasione persa. Recuperare si può ma occorre farlo sin da subito.