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Così il Virus a 5 Stelle ha contagiato Dario Fo

Dario Fo e Beppe Grillo

Alberto Di Majo
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Aveva sorriso Dario Fo quando, nel 2013, la casa editrice con cui ho pubblicato il mio "Virus" (Editori Internazionali Riuniti) gli aveva chiesto di curare la prefazione. Gli piaceva l'idea di aver raccolto in un libro le 101 parole della lingua a 5 Stelle: da acqua a zombie, passando per Meetup e streaming. Dopo poche settimane, però, morì Franca Rame. Poi gli impegni teatrali, soprattutto all'estero, non permisero al premio Nobel di scrivere la prefazione. La "parola" Fo è sempre stata tra le più importanti nel vocabolario del MoVimento 5 Stelle. Non solo per l'amicizia dell'attore con Beppe Grillo. Dovevano incontrarsi per forza Dario Fo e il "non partito". Proprio i 5 Stelle hanno dato un esito imprevisto alle sue intuizioni politiche. Se fosse dipeso dal comico genovese, Fo sarebbe diventato presidente della Repubblica. Grillo l'ha anche proposto come ministro della Cultura. Nel 2006 l'ha sostenuto alle primarie dell'Unione per la candidatura a sindaco di Milano. Poi, con una lista civica, alle elezioni comunali. Il premio Nobel è stato il “padrino” dei 5 Stelle, come s'è definito una volta lui stesso. Ha festeggiato il consenso conquistato dal MoVimento alle Politiche del 2013 con una stoccata ai partiti: «Un evento di questa portata non si era mai verificato in tutta Europa. Non comprenderlo ieri e oggi vuol dire essere completamente ottusi». Era questa la cosa che riteneva più straordinaria, che un MoVimento avesse canalizzato la rabbia e la speranza di cambiamento di una parte rilevante del popolo italiano senza sposare le tesi estremiste e xenofobe come negli altri partiti emergenti nel resto d'Europa. Nel trionfo elettorale anche lui ci ha messo lo zampino. Alla oceanica manifestazione del 19 febbraio 2013 a Milano ha spronato i 5 Stelle: «Mi sembra di essere tornato indietro di molti anni, alla fine dell'ultima guerra mondiale. Ci fu una festa come questa». Anche allora, notava, c'era «tanta gente piena di gioia e con la speranza, anzi la certezza, di cambiare» ma «noi non ci siamo riusciti, fatelo voi, ribaltate tutto». Quando Grillo l'ha proposto, a suo modo, per la corsa al Quirinale, lui ha fatto un passo indietro: «A parte che dovrei lasciare il mio lavoro e mi dispiacerebbe tanto, ma poi bisogna avere la giovinezza, vera, è una corvée spaventosa». Fo è sempre stato nel cuore del comico genovese e dei suoi seguaci, soprattutto perché, come gli ha riconosciuto più volte Beppe, «ha capito il senso del MoVimento, ha voluto parlare con i ragazzi, ha capito che cosa stava succedendo». Non a caso si è definito lui stesso “grillino”. Con il comico genovese e Gianroberto Casaleggio ha scritto anche un libro: "Il Grillo canta sempre al tramonto" (Chiarelettere). La convergenza con il "non partito" era scontata. Seguendo la tradizione dei giullari medievali, Fo ha attaccato senza indugi il Potere, e soprattutto, i suoi ambasciatori. Un maestro sempre pronto a demolire il teatrino della politica.

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