L'Inno di Mameli festeggia i suoi 70 anni
Nell'ottobre 1946 il governo De Gasperi decise di adottare l'opera in maniera "provvisoria". E da allora non è mai cambiata
«Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta» compie settanta anni da quando nell'ottobre del 1946 il governo De Gasperi, in un Paese liberato e che si avviava alla ricostruzione, lo adottò ufficialmente con un provvedimento d'urgenza in sostituzione della Marcia reale sabauda. Nel farlo però il Governo non lo inserì in una disposizione istituzionale definita al punto che nell'agosto di quest'anno, alla vigilia del suo settantesimo compleanno, in Parlamento è sbucata una proposta di legge: riconoscere ufficialmente l'inno di Mameli come inno della Repubblica italiana. A chiederlo il Partito democratico che ha depositato in commissione Affari costituzionali alla Camera una proposta di legge (D'Ottavio e Fiorio tra i primi firmatari). L'Italia, infatti, non ha un inno nazionale ufficiale: Fratelli d'Italia - l'inno che gli atleti azzurri cantano in occasione delle competizioni sportive o che viene suonato in occasione delle ricorrenze istituzionali - è infatti soltanto provvisorio perché, a differenza del tricolore e dello stemma nazionale, non è riconosciuto da una apposita definizione istituzionale. Questo la dice lunga sul perché, in infiniti dibattiti che questo Paese ha avuto, il senso di identità nazionale sia sempre stato così fragile. La Lega Nord, in passato, e per anni ha addirittura proposto di cambiarlo, magari per mettere al suo posto la marcia del Nabucco. Nel presentare la proposta sul riconoscimento ufficiale il deputato Pd D'Ottavio sottolineava che è «arrivato il momento di farlo. Già nelle passate legislature ci sono state proposte di legge analoghe ma non si è mai arrivati a conclusione dell'iter. Questa volta potremmo farcela perché sono ormai superati i conflitti ideologici su quale sia il migliore inno. Nel 2012 il parlamento ha già approvato una legge che prevede l'insegnamento dell'inno di Mameli nelle scuole si tratta di dare continuità a quell'impulso». Per D'Ottavio e Fiorio, si devono ringraziare i presidenti Ciampi, che fece reintrodurre la festa della Repubblica del 2 giugno, e Napolitano che in occasione del 150/mo anniversario dell'Unità d'Italia stimolò l'approvazione della legge per l'insegnamento dell'inno nazionale nelle scuole. In realtà l'inno d'Italia, più che le ricorrenze del 150mo o il ruolo di Ciampi, deve il suo recupero ad uno sport, il gioco del pallone ed in particolare alla vittoria ai mondiali del 1982, in Spagna con un Sandro Pertini allora presidente della Repubblica, festante in tribuna. Fu quella vittoria, in un'Italia che usciva dagli anni bui e tetri del terrorismo, la spinta a risentirsi comunità nazionale con il leader socialista Bettino Craxi che sdoganava il dialogo con il Msi, dando velocità al dibattito culturale nazionale. Proprio in quegli anni l'intellettuale di destra Giano Accame pubblica il volume «Socialismo tricolore», siamo nel 1984, dando ulteriore impulso alla discussione sulla identità nazionale italiana risvegliata. L'inno di una nazione, di questi sentimenti, dovrebbe essere il catalizzatore emotivo, prima di tutto, un po' come lo è la marsigliese per i francesi. Manca, forse, sotto questo aspetto, all'Inno di Mameli la militanza di una nazione per una rivoluzione che l'Italia non ha mai avuto visto che l'unità del nostro Paese avvenne non come movimento di popolo bensì come espansione di uno Stato già esistente, quello sabaudo. Per questo alla fine, nonostante i mal di pancia leghisti cui fratelli d'Italia non è mai piaciuto, quello di Mameli resta il nostro migliori inno possibile. Perché ci ricorda due aspetti costanti del nostro essere italiani. Il gesto eroico, risorgimentale nel caso di Mameli che è sempre individuale e mai collettivo, a differenza dei cugini francesi. E poi il nostro vizio più antico, quello descritto definitivamente da Ennio Flaiano in una frase: «da noi il provvisorio diventa definitivo». In fondo la biografia dell'Inno di Mameli.