Bonafede come Boschi e Alfano: i ministri intoccabili
Da sempre, di fronte a scandali o dimostrazioni di palese inadeguatezza, esistono ministri sacrificabili e ministri intoccabili. In passato, per fare qualche esempio, il Nuovo centrodestra accettò senza protestare più di tanto le dimissioni di Nunzia De Girolamo o di Maurizio Lupi, ma si oppose strenuamente quando la richiesta di un passo indietro colpì Angelino Alfano. O, per quanto riguarda il Pd, nessuno fece le barricate per Josefa Idem ma fu impossibile mettere da parte Maria Elena Boschi, nonostante l'enormità del caso Banca Etruria. A blindare un ministro, cioè, non è l'entità dello scandalo che l'ha riguardato. Ma la sua importanza nel partito di riferimento, o la vicinanza al “capo”. Non c'è da stupirsi, quindi, se il Movimento 5 stelle ha mutuato dai partiti questa discutibile pratica. Ha accettato senza fiatare la defenestrazione di Giulia Grillo o Danilo Toninelli, ma ha al tempo stesso costruito un cordone di sicurezza invalicabile intorno all'attuale Guardasigilli Alfonso Bonafede, che in due anni in via Arenula ne ha combinate di tutti i colori, compresa la scarcerazione di svariati boss mafiosi e le accuse di “condizionamento” malavitoso piovute dal pm Nino Di Matteo. Bonafede, d'altronde, non è un esponente grillino qualsiasi. Oltre a essere stato vicinissimo a Luigi Di Maio, è l'attuale capodelegazione del Movimento nel governo e rappresenta il collegamento originario tra i pentastellati e Giuseppe Conte. Eppure questa tendenza con i grillini si è addirittura accentuata. E a rafforzarla è stato il tetto dei due mandati elettivi che, al momento, nessuno ha eliminato dallo statuto del Movimento. Al termine di questa legislatura, in teoria, personaggi come Di Maio, Bonafede o Riccardo Fraccaro avranno terminato la loro carriera politica. Dimettersi dal governo, per loro, significherebbe uscire definitivamente dalla scena. Diversamente, per i cosiddetti politici di professione, saltare un “giro” di nomine è assai meno traumatico. Nicola Zingaretti o Andrea Orlando hanno potuto rifiutare senza drammi il pressing di chi gli chiedeva di entrare nel Conte bis sapendo di potersi giocare le proprie chance anche in futuro, senza limiti di tempo o di mandato. La regola del doppio mandato, pensata per contrastare l'attaccamento alla poltrona, ha finito per moltiplicarlo. Ed è uno dei tanti danni provocati dal grillismo in politica. Con la speranza che il probabile declino del Movimento 5 stelle rimetta, almeno parzialmente, le cose a posto.