Borg-McEnroe, standing ovation al Festival del Cinema di Roma
Uno è biondo, bello come il sole, piombato giù direttamente dalla terra dei vichinghi con la sua aurea misteriosa, idolo delle teenager di mezzo mondo. In quella terra di brume e paludi si è formato, costruito, giorno dopo giorno, mattone su mattone, diventando una inarrestabile macchina da guerra. Fondocampista al quale il top del tennis deve l'ingresso del rovescio a due mani, che negli anni a venire cambierà radicalmente questo sport. L'altro è bisbetico, irriverente come la massa di riccioli che tiene malamente raccolti in testa da quella fascetta di spugna rossa, diventato nel corso degli anni un vero e proprio cult per intere generazioni. È la classe applicata allo sport, alla vita, sensazioni uniche, poco pensiero, tanto istinto. Un genio ribelle prestato allo sport pronto ad attaccar briga con chiunque non la pensi come lui, convinto di poterlo convincere e portare dalla sua parte. E poco importa se sia uno spettatore, un arbitro o un avversario. Il tema è la sfida, lo sport chiaramente il tennis, i protagonisti due dei punti cardine della racchetta: lo svedese di ghiaccio Bjorn Borg e l'irriverente americano pazzo John McEnroe. «Ice vs fire» titolavano i giornali sul finire degli anni settanta, a cavallo degli ottanta, periodo nel quale i due assi incrociarono le loro racchette: quattordici sfide complessive, non a caso finite in parità con sette vittorie ognuno. Due modi diametralmente opposti di affrontate lo sport, l'agonismo, la competizione così come la vita. Due poli lontani anni luce ma che irrimediabilmente si attraggono e quando vengono in contatto producono un effetto unico, strabiliante. Così diversi, così lontani, ma con un'unica comune ossessione: la vittoria, dimostrare al mondo e all'uomo dall'altra parte della rete, di es- sere semplicemente il più forte. Le storie dei due campioni in questione hanno riempito le pagine più belle di questo sport spettacolare che è il tennis, una disciplina che si è evoluta ed è cambiata nel corso degli anni inevitabilmente come tutto ciò che gli ruota attorno. Ma quello che i due protagonisti sono riusciti a fare su un campo da tennis resta scritto nella storia: ognuno per la sua strada e la sua carriera pazzesca che ha toccato l'apice proprio quando la strada dell'uno ha incrociato quella dell'altro. Le due finali epiche del 1980 (anche queste vinte una ciascuno) restano forse il momento più alto della storia del tennis, che solo qualche decennio dopo ha rivissuto qualcosa di simile con i faccia a faccia Federer-Nadal: stessi ingredienti, stessa diversità, stesso talento da campioni. La prima si giocò sull'erba di Wimbledon, una finale pazzesca nella quale Borg puntava al suo quinto titolo nel prestigioso torneo inglese, con l'astro nascente McEnroe pronto a fargliela sudare. E lo fece, eccome se lo fece, in una partita interminabile che ha visto il successo dello svedese in extremis dopo una quantità infinita di match point da una parte e dall'altra, di break e contro-break. Con l'americano più volte dato er spacciato ma che riusciva a restare aggrappato la match, a rientrare in partita, grazie alla sua classe smisurata e a quel filo di follia che ha dominato tutta la sua carriera. Alla fine la costanza del muro svedese in quella occasione ha avuto la meglio, ma la standing ovation finale per i due protagonisti è stata totale, infinita come la classe dei tennisti. Il folletto americano si riprese però la rivincita non più di un paio di mesi dopo agli Us Open, altra finale leggendaria, stavolta gio- cata in casa, che vinse e di fatto chiuse in qualche modo la carriera del suo rivale di qualche anno più grande: che di lì a breve lasciò il tennis. Unico neo di quella partita spettacolare, per chi se la ricorda, un arbitraggio non proprio all'altezza che riuscì a far andare fuori dai gangheri anche un tipo glaciale e impassibile come Borg. L'occhio di falco a fine anni settanta era ancora una chimera: peccato. Resta la storia indelebile di due sportivi o meglio di due uomini con lo stesso dolore esistenziale. Racconti di sfide, che ora fanno la fortuna del cinema ma che erano, sono, e sempre saranno il sale dello sport come della vita. E poco importa se si tratti di tirar palle a mille miglia orarie su un campo da tennis, o correre sdraiati dentro un siluro di alluminio a trecento chilometri l'ora, darsele come fabbri su un ring o pedalare in vetta al Pordoi. Da Bartali-Coppi a Ali-Foreman, a Senna-Prost fino a Federer-Nadal e le mille altre sfide incrociate tra i campioni di tutti gli sport: nessuno è un campione vero se non batte uno fenomeno del suo stesso calibro. Altrimenti che gusto c'è?