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Gué Pequeno: "Noi rapper meglio di Fazio. Quanta ipocrisia sul denaro"

Gué Pequeno è uno dei campioni dell'hip hop italiano: il suo «Gentleman» a distanza di due mesi dalla pubblicazione resiste al primo posto della classifica degli album Fimi-GfK e i singoli estratti macinano record nello streaming e su YouTube. Quello che racconta è un universo colorato e molto milanese in cui ci sono tipe che «la danno per una borsa di Céline», Lamborghini (e non trattori) in tangenziale e, naturalmente, fiumi di contanti come nella più consolidata tradizione gangsta. Una rima a caso: «I soldi per me sono Dio, ma per molti sono il demonio». Gué Pequeno, ma quanti soldi hai? «Abbastanza, ma il nostro è un lavoro sottopagato. Non siamo mica calciatori. Le case discografiche solo adesso stanno cominciando a pagare bene i rapper perché per anni l'hip hop è stato considerato una cosa nuova. Poi nei live ci seguono molti giovani e giovanissimi, e spesso non si riescono a riempire i club». Ma nei tuoi brani il tema sembra quasi un'ossessione. «Il denaro è il leit motiv dell'hip hop ma in Italia resta un tabù, anche se solo per alcune categorie. Ci danno addosso perché parliamo di soldi, macchine e champagne, ma nessuno dice niente su come vivono i calciatori. È l'ipocrisia di questo Paese. Tutti vogliono fare soldi ma è proibito dirlo. È assurdo. A noi rapper ci dicono che abbiamo troppi soldi ma nessuno accusa i cantanti pop come Cesare Cremonini, per dirne uno a caso. Oppure i conduttori come Fabio Fazio». Be', noi de Il Tempo lo abbiamo fatto... «Il suo caso è davvero esagerato. Tutto deve essere relativo al giro di soldi che muovi, quindi è giusto che chi è un campione nel suo settore guadagni tanto. Nell'hip hop, poi, c'è l'ostentazione del denaro per dire: "Ho lottato, ho lavorato duro, e mi godo i frutti". Ma è l'ipocrisia dell'umiltà ostentata che non va. In Italia in tanti si mettono le maschere. Io, come tanti rapper, sono rimasto me stesso». A proposito di soldi, che ne pensi di Fedez che sponsorizza prodotti di ogni tipo? «Faccio anch'io business ma cerco di tenere sempre la musica al centro. Quando esageri e viene il dubbio che stai più tempo davanti alla fotocamera dello smartphone piuttosto che in studio qualcosa non va. Comunque con Fedez ho fatto pace da poco, dopo anni di screzi sui social network». Il 24 febbraio tornerai a Roma per uno show (allo Spazio Novecento, ndr), ma ora stai facendo delle date all'estero. Com'è questa esperienza? «Sono nel mezzo di un piccolo tour europeo in città dove ci sono molti italiani come Londra, Barcellona e Amsterdam. È molto stimolante, e poi all'estero ormai c'è grande interesse per il rap italiano. Anche grazie allo streaming che sta abbattendo tutto le barriere. Spotify è la nuova radio, la rivoluzione del mercato che cambia gli equilibri facendo diventare giovani sconsciuti dei top artist. Gli artisti "vecchi" dopo anni di supremazia vedono perdere il loro primato. Ma è giusto, per anni siamo stati noi rapper a prenderlo in quel posto».

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