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Generazione sparatuttoOra Fortnite fa paura
Nel business miliardario dei videogiochi è esploso come un nuovo, inesauribile pozzo di petrolio: 200 milioni di utenti e ricavi per tre miliardi di dollari solo nel 2018. Per i ragazzi è una scatola delle meraviglie dalla quale è quasi impossibile staccarsi. Per alcuni genitori, quelli che incautamente hanno inserito nella console i dati della propria carta di credito, è invece sinonimo di salasso. Per altri ancora vuol dire figli distratti e scostanti, se non prigionieri. Stiamo parlando di Fortnite, videogame lanciato da Epic Games nell’estate del 2017 e diventato in breve tempo un fenomeno con pochi precedenti, capace di tenere incollati agli schermi per ore schiere di ragazzini in età scolare. Alla base del successo una ricetta che dosa in modo ottimale molte delle tendenze di successo del settore. Si tratta di uno sparatutto - si devono eliminare gli avversari con le varie armi a disposizione - che si può giocare pressoché su ogni dispositivo: pc, console e smartphone. È gratuito ma per acquistare vestiti e modalità speciali (come i "balletti" che ogni tanto anche qualche calciatore imita dopo un gol) servono soldi veri. Tra l’altro Fortnite è molto meno violento della media del genere, e per questo anche i più piccoli possono giocarci senza che i genitori disapprovino (anche se formalmente è vietato ai minori di dodici anni). Nel dettaglio, a calamitare l’attenzione della maggior parte dei giocatori è la funzione Battle Royale: cento utenti in un campo di battaglia, vince solo quello che resta in piedi. E per sopravvivere bisogna allenarsi assiduamente. D’accordo, da Pac Man in poi ogni generazione ha il suo Fortnite e i fenomeni giovanili sono per loro natura transitori. Oggi c’è questa moda, domani passerà. Ma nei paesi anglosassoni siamo a un passo dall’emergenza. Negli Stati Uniti Bloomberg parla di cliniche di riabilitazione piene di ragazzini schiavi della console. In Inghilterra alcuni siti specializzati sostengono che Fortnite sia citato in oltre duecento cause di divorzio. E in Australia, dove spesso le distanze rendono più complicata la vita sociale, le tv vanno in casa di genitori disperati che cercano di convincere i figli a staccarsi dal joypad. In Italia non ci sono stime ufficiali, ma tra forum e gruppi Face book di genitori compaiono sempre più spesso post dello stesso tenore: aiuto, mio figlio è drogato di Fortnite. Ma quando il gioco diventa dipendenza? A segnare il confine è Federico Tonioni, direttore del Centro pediatrico interdipartimentale per la Psicopatologia da web al Policlinico Gemelli. In un paradosso solo apparente, che cela una massiccia dose di ottimismo, Tonioni afferma che la dipendenza da internet non esiste. O quasi. «L'OMS ha inserito il disturbo da videogame nell' undicesima Classificazione Internazionale delle Patologie spiega - Sono d' accordo sulla scelta, ma in generale gli adolescenti non sono mai dipendenti patologici, per loro si parla al massimo di fasi di abuso. Il videogioco non è cattivo. Il problema si pone esclusivamente se c' è ritiro sociale, se un ragazzo smette di uscire, gioca e basta. In quel caso emerge il dolore, che ovviamente non è legato al gioco». Il gioco compulsivo come spia di un malessere: «Tutto è incentrato su nuove forme di assenza genitoriale. Mettere un bambino davanti a uno schermo per tutta la giornata ha delle conseguenze». Giocare da soli, in una stanza, porta a effetti potenzialmente dannosi per la mancanza di «rispecchia mento emotivo». Spiega Tonioni: «Quando un bambino cammina per la prima volta si gira e cerca i genitori con lo sguardo per avere una reazione. Questo feedback un videogame o un cartone non lo possono dare. Quando manca, perché vicino non c' è nessuno, la "sana aggressività" che aiuta i bambini a scoprire il mondo non diventa esperienza, ma rabbia». Ma come dovrebbero comportarsi i genitori che temono che i propri figli siamo ossessionati dal videogioco? «I bambini hanno bisogno di un genitore che non li controlla ma si diverte con loro. Il consiglio è giocare insieme e parlare di quello che provano giocando. Con fiducia. Questa generazione di ragazzi ha un altro passo rispetto a noi. Hanno un nuovo modo di pensare e comunicare. Saranno quelli che toglieranno la plastica dal mare, altro che dipendenza da internet».