ANDREA ANTONINI NUOVO CHEF DI IMAGO
"Il cibo deve essere riconoscibile, basta con gli effetti speciali"
Quando lo hanno cercato non ha dato troppo peso a quella telefonata. Stava lavorando e ha detto che avrebbe richiamato. Poi, qualche giorno dopo, quando al telefono gli hanno chiesto se voleva diventare il nuovo chef dell’Imàgo, ha accettato in un secondo. Ora Andrea Antonini, romano, 27 anni, da due settimane alla guida del ristorante dell’Hassler confessa che è stato tutto talmente veloce che ancora non ha avuto tempo di pensare a quel che è realmente successo: «Arrivare qui è un’esperienza quasi mistica, è l’avventura della vita. Puoi capirlo solo se ci sei dentro». Eppure, anche se giovanissimo, di esperienza ne ha già accumulata parecchia: un inizio al «Giuda Ballerino» con Andrea Fusco, poi Roy Caceres e subito dopo la Spagna: prima da Quique Dacosta, 3 stelle Michelin, poi a El Celler de Can Roca, altro 3 stelle e miglior ristorante per i 50Best Restaurants. E infine, prima di approdare all’Imago, il lavoro con Enrico Crippa, lo chef di Piazza Duomo a Alba. Maestri che gli hanno insegnato a padroneggiare le tecniche più raffinate anche se ora ha deciso di puntare su quella che definisce con una parola sola cucina «rassicurante». «La gente deve vedere e capire quello che c’è nel piatto - spiega - non mi interessa "smontare" un prodotto, dargli una forma che non ha». Va in controtendenza in un momento in cui tutti vogliono stupire... «Stupire a tutti i costi non ha senso. Così come la ricerca ossessiva dell’estetica. Vuol dire che devi nascondere qualcosa, che non hai la qualità». Quando è arrivato qui ha dovuto «inventare» un nuovo menu. Da cosa è partito? «All’inizio con il mio staff ci siamo scervellati, abbiamo pensato cose assurde. Poi mi sono reso conto che la soluzione ce l’avevo sotto gli occhi: una cucina semplice, buona e riconoscibile. Puntando tutto su prodotti italiani. Le faccio un esempio, il lime. Per anni è andato di moda, esisteva solo quello. A me ha annoiato, siamo il Paese che ha i limoni più buoni al mondo. Io uso quelli». Anche qui scelta originale visto che tutti sembrano cercare ingredienti esotici. «È buon senso. All’Imàgo vengono per il 70 per cento clienti stranieri che vogliono degustare la nostra cucina. Magari anche quella romana. Perché dargli cose che mangiano nel loro Paese? Qualche giorno fa per preparare un ceviche ho visto che stavano usando un peperoncino peruviano. L’ho cambiato e ne ho scelto uno italiano. Buono (e piccante) quanto quello». Ci vuole coraggio per imporre a 27 anni la propria filosofia in un ristorante come l’Imàgo. Ci riesce? «Io sono una persona umile ma anche uno che non è mai soddisfatto. Certo che quando sei così giovane e arrivi qui hai un faro puntato addosso. E se vuoi fare il fenomeno non vai lontano». Un piatto che ha portato nel menu e che le piace particolarmente? «Premetto che tra qualche settimana cambieremo tutto, ci sarà un’offerta completamente nuova. Oggi dico la triglia ripiena di panzanella. Mi ha fatto vincere il premio creatività dello chef Roca». Sembra facile... «Lo è. Ma nella panzanella ci sono 18 ingredienti...»