Sagrantino, quando invecchiare diventa una virtù
Un fazzoletto di vigne raccolte attorno a Montefalco, il borgo che già i romani avevano eletto a buen retiro e che oggi è conosciuto come la «ringhiera dell’Umbria» per la sua spettacolare visione a 360 gradi sulla vallata tra Perugia e Assisi. Da quei vigneti nasce il Sagrantino, uno dei vini più «complicati» ma anche maggiormente apprezzati di tutta la Regione. Perché ha bisogno di essere bevuto dopo un lungo invecchiamento per smorzare un carico di tannini impressionante, capaci di stordire – se stappato troppo giovane – qualsiasi palato. Insomma va acquistato e «dimenticato» in cantina per essere ripescato e «goduto» solo quando ha raggiunto la piena maturità. Magari anche dopo dieci anni, quando può essere apprezzato in pieno tutto il suo bagaglio di profumi e sapori. Ma il Sagrantino, di cui si è appena conclusa a Montefalco la rassegna «Enologica 35» a lui dedicata, è anche un vino che ha una storia quasi quasi unica. Nato probabilmente come vino da messa dei frati – e per questo il nome – è sempre stato vinificato come passito. Almeno fino agli anni ’70, quando alcuni viticoltori _ Lodovico Mattoni, oggi presidente della cantina Terre dè Trinci, il primo nel '73, poi seguito da da Marco Caprai, figlio di Arnaldo, il patròn della storica casa vinicola _ provarono anche a farne una versione secca. In quegli anni molta parte di quel vigneto era stata abbandonata, ne restavano pochi esemplari, perché il Sagrantino ha grappoli che non danno una grande produzione e soprattutto sono facilmente attaccabili dalla peronospera. Il successo della nuova tipologia spinse però molti viticoltori a reimpiantare filari di quelal vite così «sparagnina». Seguirono anni di enorme espansione, ma anche di speculazione e di produzioni mediocri fatte da semplici avventurieri. Il tempo ha fatto giustizia e sfoltito il terreno e oggi c’è una produzione di assoluta eccellenza. Che però stenta ancora a farsi conoscere in Italia. «È un vino complicato – racconta Lodovico Mattoni – anche un po’ fuori moda rispetto a quelli che piacciono oggi. A tavola si vuole bere con "facilità", con il Sagrantino dopo un bicchiere si fa fatica ad andare avanti». Meglio forse allora iniziare ad avvicinarsi al mondo dei vini della zona con il rosso di Montefalco – esiste anche una versione Riserva con un invecchiamento minimo di 12 mesi in botte di legno – che non è assolutamente il prodotto di serie B ma ha una sua precisa identità e qualità. Il disciplinare prevede una parte di Sangiovese, fino al 70%, un 15% massimo di Sagrantino e per il resto altri tipi di uvaggio. Il risultato è un vino che conserva una buona parte dei profumi del Sagrantino – mora e frutti di bosco – ma tannini sicuramente meno aggressivi anche se ancora ben presenti. Gli abbinamenti? Per il Rosso carni arrosto e alla griglia, per il Sagrantino tutti i piatti di caccia. Ma se si prepara un agnello arrosto il vino che si sposa a meraviglia è il passito, che offre al palato un delizioso connubio dolce-salato e un tannino che ripulisce la bocca dagli eccessi di grasso della preparazione.