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Il tempo passa. Il Tempo resta

Gian Marco Chiocci
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Cinque anni fa, suppergiù di questi tempi, passai notti insonni all'idea di diventare direttore del Tempo. Amici e colleghi mi davano del matto perché il giornale che era stato di Angiolillo e Letta navigava ai confini del baratro, perché la crisi della carta stampata non dava speranze, perché già si prospettavano tagli all'organico e non volevo passare per il becchino del quotidiano che fu di mio padre e che ancor oggi insiste in quel palazzo Wedekind che da bambino frequentavo quando il genitore-inviato non sapeva dove piazzarmi. Cinque anni dopo, lo ammetto, non ho chiuso occhio al pensiero di lasciare il mio/nostro/vostro giornale (dal 21 novembre andrò a dirigere l'agenzia di stampa nazionale AdnKronos) tanto era il dispiacere di abbandonare una creatura editoriale che grazie ai giornalisti, ai collaboratori, ai poligrafici, ai nuovi editori ma soprattutto ai lettori, è tornata protagonista, corsara e sfrontata come piace a voi, temuta e rispettata, finalmente in salute. Come ho detto ai miei cronisti salutandoli in redazione, cinque anni dopo l'insonnia è durata solo qualche alba perché con orgoglio sapevamo da tempo di avercela fatta a compiere – a detta di amici e nemici, fan e detrattori – un piccolo miracolo editoriale. A contribuire alla serenità del sonno la decisione di lasciare Il Tempo (da oggi) nelle mani di un bravo giornalista come Franco Bechis. Sono stati cinque anni duri, intensissimi, appassionanti, faticosi, pieni di successi, soddisfazioni e scoop, di inchieste irriverenti e lotte faticose. Politicamente scorretti, intellettualmente onesti, orgogliosamente controcorrente dai titoli in prima pagina alle battaglie garantiste, dalle vignette di Osho allo striscione sui maro' srotolato dalle nostre finestre. Ci siamo anche divertiti, e di questi tempi non è poco. Sfrontati e fieri di averci sempre messo la faccia abbiamo fatto della guerra al politicamente corretto, al perbenismo radical chic, la nostra bandiera. L'abbiamo issata e sventolata con i vari Saviano, la rossa Boldrini, il marziano Marino, l'ineffabile Fini, la povera Raggi, il triste Fiano, la patetica Kyenge, i centri sociali e i professionisti antimafia, i nemici delle divise e gli amici sinistri del pauperismo bergogliano. Andiamo fieri dell'onore guadagnato in edicola, del riconoscimento pubblico tributato alla testata. Non ci siamo mai tirati indietro consci di poter contare su un editore che dopo aver salvato il giornale mai una volta ha messo becco nelle scelte editoriali. Cari lettori, è stato un onore guidare questo giornale, un privilegio poter contare su di voi che condividete il ribrezzo al giacobinismo mediatico di quanti, tra puttane e bavagli, sognano la morte della stampa libera. Nonostante i gufi e quaquaraqua, cinque anni dopo rieccoci qua: il tempo passa, Il Tempo resta.

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