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Denis e le condanne

Denis Verdini

Pensavamo d'aver visto di tutto nelle aule dei tribunali ma ci sbagliavamo...

Gian Marco Chiocci
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Non ci piace il «giudiziariamente corretto», il dire e non dire in tema di giustizia. Abituati come siamo a leggere le carte prima di esprimere giudizi veniamo spesso tacciati di garantismo esasperato. Ed è perché critichiamo sentenze poco convincenti, perché difendiamo chi è innocente fino in cassazione (e perché no, anche dopo) perché ci ribelliamo ai verdetti a mezzo stampa e perché non riusciamo a gioire delle disgrazie altrui come invece fanno certi colleghi e un certo ignobile mondo che nei social e in parlamento trova il suo brodo di coltura giocobino e manettaro. Dunque, non per spirito d'azienda e men che meno di riverenza gerarchica, ci sentiamo in diritto di sollevare più di qualche perplessità sulle condanne che stanno colpendo oltre ogni più nefasta previsione il presidente di questo giornale, Denis Verdini (buon ultima ieri, 5 anni e mezzo per l'editoria). Dipinto come il Male Assoluto per esser stato l'uomo nero di Berlusconi, poi di Renzi, dell'abortito Nazareno della compravendita dei senatori e via cianciando, all'uomo di riconosciute qualità politiche e organizzative (da quando se ne è andato, Forza Italia è morta) è stato accollato di tutto, financo di esser stato l'ispiratore di una massoneria invisibile ribattezzata P3 da cui è stato assolto nel silenzio assordante pure di chi era arrivato a dedicargli 8 pagine nello stesso giorno, e aperture di giornale nelle settimane a seguire. Ma Verdini è Verdini. Giuliano Ferrara scrisse di lui: “Chiunque legga i mattinali di questura che si pubblicano nel nostro paese pensa che sia il Delinquente, chiunque lo conosca e sappia delle cose politiche pensa esattamente l'opposto: non è un moralista ma è moralmente a posto e politicamente in ordine”. La colpa di tanto accanimento e di cotanta fama, va detto, è anche del buon Denis che si è fatto scivolare addosso accuse incredibili senza incazzarsi mai. Anche tanti noi – non ce ne voglia presidente – per anni si sono affidati alla narrazione lombrosiana che lo voleva comunque colpevole di qualcosa. Tanti, troppi, hanno creduto fosse davvero un bandito, simpatico, alla mano, cazzarone, ma pur sempre un bandito. Che è un po' quel che sotto sotto pensano molti dei suoi ex colleghi, ingrati e farisei, che grazie a Verdini hanno campato fin toppo bene e fin troppo a lungo e a chi le sta scrivendo a commento dell'ennesima batosta fiorentina ieri sera dicevano, “certo, però, Denis…”. Leggere le carte, le memorie, le perizie, seguire le arringhe clamorose e devastanti dei suoi avvocati (Coppi su tutti, e “la Ester” come la chiama Verdini) è stato illuminante ma non è servito a nulla. In più processi ha convinto tanti di noi ma - per dire - il giudice di ieri s'è fatto completamente un'altra idea arrivando a raddoppiare la balbettante richiesta di condanna del pm. Non siamo avvocati, non siamo magistrati, siamo però accaniti lettori di atti giudiziari. Pensavamo d'aver visto di tutto nelle aule dei tribunali ma ci sbagliavamo perché come dice l'Imputato di professione, il nuovo Mostro di Firenze, questa sentenza non sta né in cielo né in terra. Verdini, che per noi resta innocente in questo processo, ci perdonerà di questo scritto che va in stampa a insaputa sua e dell'editore. Non sappiamo se è un perseguitato alla Dell'Utri in conto terzi e a imperitura memoria berlusconiana. Sappiamo per certo che se domani dovesse ammazzare una mosca finirebbe al 41 bis per omicidio volontario. Senza attenuanti, senza generiche, senza pietà.

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