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Morte di Totò Riina, da Corleone fino ad Ostia

Totò Riina

Gian Marco Chiocci
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Ora che Totò Riina è morto e la mafia vera, se non defunta, può considerarsi acefala, veniamo ad Ostia dove ormai tutto è mafia, pure una capocciata ben assestata a un giornalista. Prima però un inciso sul capo dei capi precipitato all'Inferno: pur nutrendo il disprezzo e lo schifo più profondo per un bastardo che ha sulla coscienza centinaia di poveri Cristi, non ci associamo al giubilo per la sua atroce dipartita, men che meno saliamo sul carro funebre preso d'assalto dai professionisti e complottisti antimafia («Riina si porta i segreti nella tomba», «con Riina festeggiano i potenti ricattati dalla mafia»). Ci chiediamo, però, se coincida con il concetto di giustizia, o piuttosto con una vendetta (che non dovrebbe, questa, appartenere ad un contesto di Stato di diritto) lo zelo persecutorio su un corpo oramai aggredito dalla malattia. Prima accadde con Provenzano, mantenuto al 41 bis pur essendo in stato vegetativo, sottratto alle visite dei suoi cari. Negli ultimi mesi, con Riina è accaduta più o meno la stessa cosa, e quando il ministro della Giustizia Orlando ha dato il via libera per l'accesso ai suoi familiari era troppo tardi. È l'antimafia delle immagini che, appunto, è sempre alla ricerca di un simbolo da portare sull'altare dell'opinione pubblica. Passando sopra a tutto, sia il concetto di dignità umana da mantenere anche nell'applicazione della pena che alla pietà cristiana. Punirne uno per educarne cento, un po' come fa la mafia stessa, e poi lavarsi la coscienza. Ed è lo stesso principio per cui, in questi giorni, assistiamo ad un turbinio mediatico attorno a Ostia, che oramai sembra la succursale di Corleone, città natale di Riina. La testata di Roberto Spada a beneficio di telecamere Tv ha trasformato il X Municipio nel centro di gravità permanente della criminalità, e si prepara il grande set di domani, tra unità cinofile, divise, seggi presidiati, palette e mitra in bella mostra. Il gran ballo dell'ipocrisia, ben sapendo che la criminalità, a Roma, non esiste soltanto a Ostia, eppure negli altri quartieri, quando si vota, non c'è la militarizzazione. Ci chiediamo dove sarà lo Stato una volta calato il sipario. La risposta, purtroppo, possiamo immaginarla: la Ostia “di questi giorni” rischia di tornare, con dolore, ad essere la “Ostia di sempre". E tutti ne usciranno coglionati e sconfitti.

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