Una giustizia da brividi
Cari lettori, oggi vi chiediamo di dedicare dieci minuti del vostro prezioso tempo all'attenta lettura degli atti giudiziari di una storia che ha dell'incredibile e che i nostri segugi (Luca Rocca e Valeria Di Corrado) vi racconteranno nei dettagli voltando pagina. È la storia di un uomo per bene, un generale della Guardia di finanza destinato a diventare il comandante di tutti i finanzieri d'Italia, che ha avuto la vita e la carriera rovinate per un'indagine che nemmeno lo doveva riguardare condotta dal Noe di Ultimo e dal pm Woodcock. Indagine oggetto di approfondimenti al Csm e trasmessa per quanto di competenza alla procura di Roma. È una storia da brividi, quella di Michele Adinolfi. Accusato di reati gravissimi, tra i quali la corruzione, l'ufficiale della Gdf finiva intercettato al telefono e addirittura con microspie al ristorante nell'inchiesta napoletana sulla Cpl-Concordia di cui si sta discutendo in questi giorni dopo le rivelazione choc del procuratore di Modena sui caramba del Noe definiti «spregiudicati» e in preda a «un delirio di onnipotenza» allorché le dissero «lei può far esplodere la bomba. Scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi». State attenti alle date. Adinolfi, che nemmeno di vista o per sentito dire conosceva gli indagati della Cpl-Concordia, viene indagato il 13 ottobre 2015. Appena tre giorni dopo, il 16 ottobre 2015, il Fatto Quotidiano dà notizia della sua «iscrizione» pubblicando carte delle indagini. Adinolfi per poco non ha un infarto. Protesta. Urla la sua innocenza. Quattro giorni dopo, il 20 ottobre, viene interrogato a Napoli dove con sorpresa - racconta il generale nell'esposto al Csm – Woodcock taglia subito corto dicendo che non gli avrebbero dovuto chiedere più nulla perché le indagini avevano dimostrato la sua completa estraneità ai fatti contestati. «Generale non si preoccupi, facciamo subito subito, tanto lo sappiamo che non c'entra nulla con questa storia». Adinolfi e gli avvocati trasecolano. Indagato e sputtanato a mezzo stampa per niente? Il pm anglonapoletano, racconta sempre Adinolfi, prima di congedarsi dice che gli avrebbero fatto «alcune domande retoriche» solo per «confermare i dati già acquisiti». Adinolfi e i legali a quel punto contestano tutto dell'inchiesta, dalla totale mancanza di riscontri alle accuse fino alle suggestive interpretazioni date dal Noe (con il noto Scafarto) alle telefonate intercettate. Non succede nulla fino a quando, nove mesi dopo, Pincopallo partorisce l'ennesima, clamorosa, fuga di notizie: le telefonate con Renzi, con Lotti e altre cariche stituzionali. Niente di penalmente rilevante ma quei virgolettati sono devastanti per lui e per Renzi. Anche qui, appena un mese e mezzo dopo, la seconda sorpresa: il gip archivia tutto. Adinolfi è talmente innocente che inizia a chiedere conto ai magistrati del perché è finito in questo frullatore giudiziario. Da mesi, con l'inchiesta ormai conclusa e gli atti in edicola, chiede di vedere tutte le carte. Ma i magistrati partenopei si oppongono, rispondono continuamente di no. Una caramella a chi dice perché. Cari lettori, guai a finirci in mezzo a una giustizia così.