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"Loro Fecce Tricolori, noi con la Folgore!"

Gian Marco Chiocci
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Ci fa male al cuore, e lo diciamo col trasporto del caso, assistere a un 2 giugno così. Nell'epoca del vuoto pneumatico globale, ciò che è espressione di una storia, di un'identità, viene risucchiato da una spirale di nulla, dove tutto è indistinto, e le parole perdono il significato a scapito di una "bellezza" che tale non è. Così IL presidente della Camera Laura Boldrini (che il voto ce la tolga per sempre di torno) si è lanciata in una distinzione tra "nazionalismo", cosa cattiva e indigesta, e "patriottismo", roba buona ad alta digeribilità. Per usare un termine caro a Elie Wiesel, siamo in pieno "esilio della parola" dove tutti parlano di tutto, spesso a sproposito. Ci sorprende che parli di "patriottismo" proprio chi, come IL Presidente della Camera, professa le porte aperte, il multiculturalismo, il mondo senza muri (neanche identitari) a beneficio di chi, come gran parte dell'Islam, mal sopporta la nostra laicità, la nostra libertà, le donne come lei, coi capelli al vento e senza velo. Ci sorprende che a parlare di patriottismo sia coLUI che voleva abbattere gli obelischi littori, simboli di un passato che, per quanto sgradito, rientra pur sempre nel bagaglio di vita di una Nazione. Ci sorprende molto meno che il volto di costUI si sia fatto corrucciato, e le sue mani non abbiano applaudito, al passaggio dei parà della Folgore che il mondo ci invidia. Gesto su cui ogni polemica si rivelerebbe impropria, perché trattasi della metafora oggettiva della cultura piagnucolante oggi dilagante. È l'illusione che nel mondo liquido, politicamente corretto e senza frontiere, la coesione sociale si possa garantire con la solidarietà, con l'idolatria dell'«impegno civile», invocando Gandhi (sic!), coi taxi della marina militare a raccattare clandestini in un gigantesco, masochistico, porger l'altra guancia. In quest'ottica, l'uso della forza, sostanziale o potenziale, da secoli garanzia di coesistenza tra individui, diviene un retaggio barbaro da consegnare al passato e i suoi interpreti, cioè gli uomini in divisa, qualcosa di scomodo alla vista.  Ecco allora che il 2 giugno si riscopre "civile", politicamente corretto, bamboccione. Profluvio di sindaci ai Fori Imperiali, massima attenzione a quelli che provengono dalle zone terremotate, molti dei quali non hanno neanche voluto partecipare al copione lamentando il disagio di uno Stato che li ha abbandonati. E che dire dei giovani accorsi a Montecitorio arringati sulla scia del volemose bene. Tralasciamo per decenza le piaghe italiche elencate dal presidente Mattarella (l'omofobia, il femminicidio e il bullismo) e ammainiamo la bandiera patria così da issare l'arcobaleno pacifista e gay. Un 2 giugno di zucchero filato tricolore, dolciastro e un po' appiccicoso, fondato sulla narrazione del "debole" e del "diverso". Una narrazione che resta tale perché poi in questo Paese chi è indietro continua ad esserlo, e chi dovrebbe tirare avanti scopre che solo oggi, 3 giugno 2017, smette di lavorare per pagare le tasse. Ma che volete, è l'effetto della retorica che copre il reale e ci fa perdere la bussola. Lorsignori non hanno imparato la lezione del terremoto, quando solo l'atteggiamento delle nostre divise consentì di colmare carenze organizzative e di prevenzione degne del Terzo Mondo. Lorsignori si ricordano solo a intermittenza di quanto sia grave la minaccia del terrorismo islamico e di come, neanche sei mesi fa, il giovane Anis Amri, lo stragista di Berlino, venne ucciso in uno scontro a fuoco a Milano. Lorisignori si raccontano favole per un pugno di voti, vivono nell'iperuranio di una politica defunta, viaggiano belli e scortati da chi poi denigrano alimentando l'odio totale ai servitori dello Stato. Ecco perché non è una questione di forma ma di gratitudine e memoria. Diciamo grazie a chi indossa, fiero, una divisa. Perché ci dà serenità in una quotidianità popolata da diavoli. Perché con l'uso delle armi porta pace laddove domina la guerra. E perché si ricorda dei due fratelli marò ancora ostaggio della burocrazia, e che nessuno si fila più. Tutto il resto è noia. Come certe fecce tricolori in tribuna autorità.  

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