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Un anno senza Pannella

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Marco Pannella

Gian Marco Chiocci
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Le nostalgie sono piuttosto inutili ma la sincerità è un dovere. E dunque lo diciamo a gran voce, che ci manca Marco Pannella. A un anno dalla dipartita ci manca quel macigno umano, quel meteorite fisico in grado di abbattersi, con tutta la sua luminosità, nel buio della politica. Ci manca Pannella perché il ruggito del vecchio leone, combattivo ma spesso (ingiustamente) dimenticato, era lì a ricordarci che i problemi sono ancora tutti sul tavolo: dal paradosso di una giustizia che stritola corpi e anime nella morsa di processi assurdi alle condizioni disumane nelle carceri. Ci manca Pannella perché, parafrasando il Mahatma Gandhi, prima lo ignoravano, poi lo deridevano, quindi hanno preso a combatterlo salvo rimpiangerlo nell'aldilà. Ci manca Pannella perché nessuno come lui, anzi forse solo Berlusconi, aveva la capacità di farci incazzare e farci sognare. Incazzare sui temi etici, sugli stupefacenti, su quel laicismo dalla sfumatura nichilista. Incazzare per scivoloni imperdonabili come quando fu del baciabile Scalfaro. Ma ci fece anche sognare per via di quell'impegno vissuto calandoci dentro tutta la vita, senza accomodarsi mai sulla poltrona. Sognare anche per quel suo essere furbo e speculativo, per il talento nel carpe diem, infilarsi nel pertugio dell'attualità e allargare la breccia quel tanto che basta per infilarsi lui, con tutta la sua mole di pensieri, casino, rivendicazioni. Ci manca il Pannella degli scioperi della fame, dei banchetti per le raccolte firme a cui, qualche anno fa, trascinò anche Silvio Berlusconi fregando il povero Alfano convinto fino all'ultimo d'avercela fatta. Ci manca il Pannella che convinse il Cav a mollare Napolitano (voluto da Ferrara) e a preferire la Bonino commissario europeo. Ci manca il Pannella delle battaglie coraggiose e perdute che erano comunque vinte sul piano della testimonianza, del messaggio, dell'onore. Ci manca il Pannella dell'eterno «poteva essere» su cui, tossendo e fumando al microfono di Bordin, si aprivano praterie di ipotesi e congetture da fantapolitica, mai realizzate come un bellissimo capolavoro incompiuto. E ci manca perché ci addolora nel vedere quest'esperienza radicale ridotta a una guerra in famiglia, con gli ultimi battaglieri Turco e Bernardini di qua, e di là il totem (inutile senza Marco) di Emma Bonino con le sue frequentazioni chic alla Soros e l'iniezione di potentato politicamente corretto che Pannella, negli ultimi tempi, le contestava. In questa politica 2.0 di cazzari, giullari, traditori, opportunisti, di tweet e consultazioni on line, ci manca quel movimentismo non violento che resta il buon esempio di un impegno vero, corpo e anima. Nel bene e nel male, ci manca. E proprio oggi manca perché senza se e senza ma Pannella avrebbe abbracciato Antonio Dalì, candidato sindaco del centrodestra a Trapani, assolto a raffica dalle accuse di mafia ma costretto al soggiorno obbligato dall'Antimafia un'ora dopo la chiusura delle liste elettorali. Un'iniziativa a orologeria che segna l'ora di questi tempi amari e suona la sveglia sulla battaglia di Marco per una giustizia giusta. Pannella ci manca per questo, e perché un altro così non ci mancherà più.

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