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Denis, Raggi e i garantisti

Gian Marco Chiocci
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C'è un suono sinistro che, detto fuor dai denti, inquieta. Ed è il tintinnar di manette, il fruscio delle pagine di gonfi faldoni giudiziari riversato nei fogli dei giornali. Quest'anno ricorre il 25esimo "anniversario" di Mani Pulite e ancora non abbiamo imparato la lezione. Una politica debole, sfilacciata e molle lascia il posto allo strabordare della magistratura che s'intesta un potere pseudocostituente. Ridisegnare la famiglia, come istituzione fondata sulla genitorialità, magari legittimando l'utero in affitto. E puntare su famiglie politiche, cercando di calamitare l'acrimonia diffusa (oggi ancor più, data la crisi), scuotendo l'albero delle emotività per poi consentire a qualcuno di raccogliere i frutti. Ieri il Pds (anche se poi arrivò l'imprevisto Berlusconi nel '94). Oggi il Movimento 5 Stelle. Per questo il garantismo è e rimane un dovere democratico. Da esercitare con coerenza ed erga omnes, a costo di passar per fessi. Lo urliamo alla luna: non ci servono l'arresto di Raffaele Marra, le indagini a carico di Virginia Raggi o di Salvatore Romeo, le storie e le storielle di polizze, per capire quanto la prova di governo grillino nella Capitale sia per ora deludente. Non ci servono accerchiamenti su Renzi Senior o Luca Lotti per aver già il quadro ben chiaro su come la politica di Matteo da Rignano abbia fatto perdere al Paese tre anni in bonus, politiche insipide e insussistenza sul piano internazionale. E ora l'Italia si affanna in un presente di conti sballati, crescita minimale e continui arrivi di migranti che mettono a repentaglio la coesione sociale. Non ci serve, neanche, il dagli al "mostro Verdini", uno sparare pregiudizievole che fonde la suggestione mediatica ad una condanna altisonante, bancarotta e truffa ai danni dello Stato, quando il cammino per l'accertamento dei fatti è ancora lungo, molto lungo, e pieno di aspetti ancora da esplorare. Già, perché tutti parlano, straparlano e sputano sentenze sul quel diavolo di Denis senza aver letto lo straccio di una carta di una vicenda giudiziaria che, a parere di chi scrive, grida vendetta. Basti pensare alla bancarotta della "banca Verdini" che non ha rovinato praticamente nessuno (avendo risarcito quasi tutti col rientro dei vari fidi concessi e sostenuti da apposite garanzie) al contrario, per dire, di quanto accaduto con lo scandalo senza precedenti della banca rossa di Siena che ha drenato miliardi, suicidi, correntisti sul lastrico e dipendenti licenziati. Tutto questo non ci serve, e non serve neanche al Paese. Perché i novelli Torquemada che si fanno prendere dalla foga censoria per poi magari chiedere scusa nel caso in cui cadano le accuse del bersaglio (come Luigi Di Maio nei confronti del consigliere regionale Pd Stefano Graziano) non aiutano la democrazia ad evolvere verso qualcosa di come è oggi. E cioè la brama di vedere l'avversario demolito da una gragnuola di processi, umiliato al banco degli imputati, vivisezionato da intercettazioni imbarazzanti. Oggi tocca a te, e chiedo le tue dimissioni. Domani tocca a me, e col cavolo che mi dimetto. Che letamaio è il Paese dove vale tutto e il contrario di tutto a seconda della disgrazia. È un quarto di secolo che ci battiamo per una Italia più civile, per una giustizia più giusta, per Berlusconi e le cene eleganti, per le polizze della Raggi, fino all'inner circle di Renzi. Garantisti da 25 anni. Coglioni che siamo.

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