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Un minuto di silenzio per Hillary Clinton E non solo

Hillary Clinton

Gian Marco Chiocci
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È un mondo diverso, stravolto, capovolto, quello uscito dalle elezioni americane. Un mondo straordinariamente nuovo, dai tratti surreali e perché no, intriganti. Son cadute qua e là le macerie di schemi e architetture politiche superate, i partiti sono morti e non gode di ottima saluta il radical chic d'oltreoceano che al pari di quello nostrano detta la linea dall'alto della sua superiorità del piffero. Questo mondo rivoluzionato da Trump va accolto con giubilo, ed anche con un minuto di silenzio. Non di lutto, ma di monito: verso chi ha parlato male a prescindere del vincitore vedendo poi crollare le proprie speranze davanti a un popolo americano che nel badare al sodo (e non alla character assassination del tycoon) ha fregato tutti: sondaggisti, analisti, giornalisti, capi di stato e perfino il Papa. E dunque un minuto di silenzio per gli alfieri del politicamente corretto, che anche stavolta non hanno capito la realtà, e cioè che le elite sono nude e il popolo grida, strepita pretende e ottiene. Un minuto doppio di silenzio per Hillary, la sacerdotessa della democrazia mondiale che ci ha regalato mail cancellate e primavere arabe, e per il suo sodale Obama, comprovato distributore di baci della morte, buon ultima la Brexit. Un minuto di silenzio per l'Europa, per la Merkel, per quel potere a-democratico che brandisce gli indici di borsa e le relazioni internazionali per giocare al puparo coi pupazzi di turno. Un minuto di silenzio a Wall Street, alle lobby vere, al vecchio milionario Bill Clinton, risvegliato dal torpore di pensionato dalla baraonda della moglie e dal clamore delle sue antiche vicende pecorecce. Minuto di silenzio per l'Isis, che ora trema all'idea di un'alleanza Usa-Russia. Silenzio assoluto per Renzi, che non riesce proprio a capire che la politica estera non è una gita scout e che con gli endorsement per la Clinton ci poteva/doveva andare più cauto. Silenzio assordante per i patetici commentatori di casa nostra, abituati a raccontare storie dal proprio mondo dorato senza riuscire a leggere quanto avviene a un metro dall'uscio. Applausi, invece, all'unica giornalista che ha fatto semplicemente il suo dovere, la nostra Paola Tommasi. Ha seguito tutti i comizi di Trump, ha assaporato, sapendola leggere, l'aria dell'America vera. È stata l'unica a dire che Donald avrebbe trionfato, l'unica a ripeterlo anche la scorsa notte quando la Clinton sembrava avere buon vento. «Tranquillo, direttore, fidati, vince Trump». Ha avuto ragione. Applausi a lei. Fischi impietosi a chi fino all'alba ci ha preso per il culo.

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