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Dellorto, "radici nel territorio, prodotti nel mondo»: ecco l'azienda della Brianza

Leonardo Ventura
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Per chi solo anche una volta nella vita ha avuto a che fare con un mezzo a motore dotato di un carburatore il suo nome certamente è più che noto. Tanto che qualcuno lo usa come sinonimo di quello che è un po’ il cuore meccanico di auto e moto, Dellorto, questo il nome dell’azienda entrata nei ricordi di tanti appassionati di motorsport e motori sin dal 1933. Anno della loro nascita in uno degli storici cuori produttivi d’Italia, la Brianza. Forte di oltre 500 titoli iridati in diverse competizioni, dalle due alle quattro ruote, la Dellorto di Cabiate (Como) ha affrontato negli anni transizioni e ben tre passaggi generazionali aziendali. Un percorso lungo 91 anni che li ha portati ad ampliare negli anni la loro gamma di prodotti. Corpi farfallati, centraline elettroniche, sistemi a iniezione e i recenti progetti sull’elettrificazione. Tutto studiato e prodotto rigorosamente in «casa». O meglio in quel territorio sul quale investono e nel quale credono fortemente risieda, in senso più ampio, la forza vera del Made in Italy. Ad oggi Dellorto vanta un board ancora totalmente familiare, con alla guida il vicepresidente esecutivo, Andrea Dell’Orto. Ingegnere monzese classe 1969, coadiuvato nella gestione dell’azienda dal fratello Luca, Amministratore Delegato e dal cugino Davide, Cto (Chief technical officer), porta avanti una realtà oggi internazionale, ma con le radici orgogliosamente ben piantate sul territorio.

La vostra Ingegnere Dell’Orto è un’azienda che lei definisce orgogliosamente di famiglia. Crede sia questa una peculiarità positiva a livello generale per un’impresa?
«La storia dell’imprenditoria italiana è per sua natura caratterizzata da tante realtà famigliari. In Lombardia, come nel Lazio e in tutta Italia. Certo oggi quelle che hanno e mantengono una guida totalmente famigliare forse sono meno rispetto a qualche decennio fa. Tornando alla domanda, non mi sento in senso assoluto di dirle se sia sempre per tutti positivo o meno. Per noi in Dellorto è sicuramente un valore aggiunto. I fatti, dopo diversi anni ormai, ce lo confermano. Non credo però sia scontato e nemmeno semplice. Questo va sottolineato».

Ci spieghi.
«Parlo per noi. L’attuale board aziendale Dellorto è in carica dal 2008 e oltre ai già citati Luca e Davide, vanta ancora orgogliosamente presente in azienda mio padre Giuseppe (84 anni) come Presidente. Colui che in quell’anno prese la scelta di dare il via alla terza generazione Dell’Orto alla guida dell’azienda. In un periodo oltretutto globalmente non facile dal punto di vista della congiuntura economica. I passaggi generazionali non sono mai semplici. Coloro che studiano questi processi sostengono inoltre che il passaggio alla terza generazione, a livello di aziende famigliari, sia tra gli snodi più critici».

Quindi ci vuole anche fortuna?
«Credo sia stata per noi più una questione di tempismo nelle scelte e fortuna nel trovare le persone giuste, per i ruoli chiave, all’interno della famiglia. Non è però frutto del caso. Prima di ricoprire gli attuali ruoli, tutti noi Dell’Orto, abbiamo maturato esperienza a vari livelli in azienda, anche in linea di produzione. Una parte fondamentale della nostra formazione oltre agli studi».

L’azienda per voi è quindi come una seconda casa?
«Anche la prima direi. Dellorto nasce nel 1933 a Seregno (Monza e Brianza) e ha poi spostato più recentemente la sua sede operativa di pochi chilometri a Cabiate. L’azienda e il territorio dove siamo è parte integrante della nostra famiglia. Come fu per mio nonno e i suoi fratelli quando fondarono l’azienda. È parte di ciò che siamo e di quel che facciamo».

Ovvero?
«Abbiamo sempre mantenuto insieme tutte le fasi di quel che facciamo. Progettazione, costruzione, sviluppo, amministrazione e promozione. L’ idea di quel che facciamo nasce a Cabiate, dove si sviluppa e si crea, per poi girare per il mondo».

In tema di giri tanti ne hanno fatti i vostri carburatori su strade e circuiti. Come azienda invece che strada avete intrapreso?
«Il carburatore è un prodotto che sentiamo come il cuore del nostro business. Parte fondamentale. Ma oggi non più la sola. Nasciamo come realtà meccanica, evoluta poi nella meccatronica e oggi fortemente orientata sull’elettronica. Ad oggi siamo più di un prodotto. Dal 2006 inoltre abbiamo avviato un importante percorso di internazionalizzazione che ci vede oggi anche protagonisti per alcune componenti in un mercato enorme come l’India. Mentre dal 2019 abbiamo dato vita a un progetto, E-Power, che si traduce in una gamma completa di powertrain elettrici per la mobilità urbana per veicoli elettrici di piccola taglia».

C’è quindi l’elettrico nel futuro della mobilità?
«Per i piccoli mezzi legati alla mobilità urbana sicuramente è ad oggi opzione valida e sostenibile. Per quanto riguarda l’automotive credo sarebbe preferibile un approccio orientato alla neutralità tecnologica. È cruciale ridurre le emissioni dei mezzi circolanti, ma andrebbe anche considerato quanto i vincoli del 2035, obbligando di fatto al solo elettrico, impattino sulle imprese. C’è tutto un mondo legato all’indotto che rischia di andare in difficoltà».

Stop europeo al motore endotermico quindi da rivedere?
«Mi ritrovo nella posizione espressa dal neo Presidente di Confindustria. In particolar modo sul fatto che transizione e decarbonizzazione siano un tema competitivo e che dall’Europa serve che arrivino politiche a sostegno delle industrie. Le nostre filiere sono l’anima dei territori e trovo impensabile che non si tenga conto di queste realtà strategiche per rimanere competitivi sui mercati. Valorizzarle e aiutarle nelle sfide poste dall’attuale contesto socio economico è doveroso in Italia quanto in Europa».

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