Polo Logistico di Bettolle, il presidente del Comitato Albani: "Operazione distruttiva"

Il dibattito sul Polo Logistico di Bettolle, una frazione del comune italiano di Sinalunga nella provincia di Siena, va avanti. Il piano strutturale intercomunale prevede la possibilità di insediare nuovi impianti di logistica su un’area di 50 ettari circa, di fianco al tracciato dell’Autostrada del Sole. Potrebbe sembrare un'operazione che strizza l'occhio allo sviluppo e al futuro, ma è impossibile dimenticare che il territorio agricolo in questione è di pregio paesaggistico e storico. Edoardo Albani, il Presidente del Comitato No Polo Logistico di Bettolle, ha scritto una lettera in cui ha elencato e spiegato le ragioni per cui una discussione sul tema è necessaria. 

 

  

Qualche anno fa Pierre Hadot scrisse che il compito principale della filosofia consiste, in definitiva, nel rivelare agli uomini “l’utilità dell’inutile”, ovvero “nell’insegnare loro a distinguere due diversi significati del termine utile. Esiste ciò che è utile in vista di un fine particolare: il riscaldamento, o l’illuminazione, o i trasporti, ed esiste ciò che è utile all’uomo in quanto uomo, in quanto essere pensante. Il discorso della filosofia è «utile» in questo secondo senso, ma diventa un lusso se si considera utile soltanto ciò che serve a fini particolari e materiali” (Pierre Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi 2005, p. 194). La citazione può sembrare una premessa ‘inutile’ rispetto al problema che qui si intende esporre, ma, come presto vedremo, così non è. In effetti, nell’ultimo Piano strutturale dell’Unione dei Comuni della Valdichiana senese, il Comune di Sinalunga, a guida PD, ha visto bene di inserire il progetto di un Polo Logistico di circa 50 ettari da realizzare nelle immediate vicinanze del Casello A1 Valdichiana Bettolle. Il dato può sembrare la logica conseguenza di una scelta oculata che offrirebbe nuove opportunità di sviluppo e di lavoro a questo popoloso centro della provincia di Siena e non solo. In realtà è una operazione davvero distruttiva, in quanto interviene in un territorio agricolo intatto e di notevole pregio storico e paesaggistico, determinando, tra le altre cose, un nuovo consumo di suolo ed una nuova cementificazione su vasta scala, con la previsione di una crescita esponenziale dei livelli di inquinamento atmosferico. Ecco che una scelta politica apparentemente ‘utile’, almeno nell’immediato, si trasforma in una decisione essenzialmente ‘inutile’, anzi dannosa, per la popolazione residente ed il suo futuro. Nonostante le battaglie più o meno di facciata a difesa dell’ambiente che puntualmente tempestano, è il caso di dirlo, l’opinione pubblica dopo periodi di siccità o di caldo africano prolungato, ma anche dopo devastanti inondazioni spesso associate a problemi di soil sealing, in Italia si continua imperterriti ad alimentare il problema, ormai quasi ingestibile ed assolutamente contrario ai dettami della nostra Costituzione, della distruzione del territorio, dell’ambiente e del paesaggio che progressivamente va definendo, per via di negazione, l’identità di quella che Antonio Cederna chiamava una “Italia provvisoria”.

Ecco che il caso di Sinalunga e del progetto di un polo logistico di dimensioni colossali da realizzare entro i propri confini amministrativi, pur nella sua marginalità se riferito al contesto nazionale, assume un valore paradigmatico in ordine alla  fenomenologia dello “Sfacelo del Bel Paese”, per citare ancora Cederna. E questo a partire dalla motivazione che, immancabilmente, viene sbandierata, come un’esca infallibile, per giustificare scelte amministrative di tale segno e che spesso nasconde, invece, meri interessi privati: la creazione di nuovi posti di lavoro. È questa la giustificazione di cui si serve il cosiddetto ‘partito del cemento’, dall’inizio della nostra storia repubblicana ad oggi, per perseguire i propri fini particolari. Come ha precisato Salvatore Settis citando Nicola Dall’Olio, c’è “fra le «cause culturali del consumo di suolo» la retorica dello sviluppo come strategia comunque vincente, l’astratta fede in una crescita continua, la «trappola mentale che non consente di vedere possibili alternative, sostituti a modalità di produzione di ricchezza ed occupazione ormai obsolete e di corto respiro»” (Salvatore Settis, Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Einaudi 2010, pp. 10-11). Davvero abbiamo ancora bisogno di costruire orrendi capannoni per creare sviluppo e far girare l’economia? È davvero utile cementificare decine di ettari di terreno agricolo intatto in una delle valli più belle d’Italia per creare posti di lavoro che, specie nella logistica, raramente riescono davvero ad attrarre, da un punto di vista economico e di tutele garantite, le nuove generazioni? Davvero vogliamo minare irrimediabilmente l’alta qualità della vita di questo angolo di Toscana che è alimentata da secoli dalla bellezza del paesaggio, dalla alta concentrazione di borghi di arte e cultura, dalla qualità della tradizione enogastronomica, inserendo una frase scomposta in una narrazione altrimenti di alto lirismo?

È evidente che le perplessità anche solo di natura estetica legate ad un tale progetto di sviluppo hanno implicazioni più ampie e profonde. In effetti, la tutela del territorio, dell’ambiente e del paesaggio preserva, oltre alla salute dei cittadini e alla loro qualità della vita, anche l’identità di una comunità, lo stretto legame tra memoria e spazio vissuto che riduce rischi di alienazione e di degrado, garantendo il mantenimento di quell’equilibrio fra nucleo abitato e campagna che ha caratterizzato per secoli il paesaggio italiano fino all’irrompere del ‘dio mercato’ che tutto ha stravolto. Non solo, crea quelle condizioni che impediscono di togliere ‘significato’ ad uno spazio rendendolo ‘neutro’ e per questo oggetto di un mercato senza scrupoli che volutamente ‘ignora’. Tutto ciò, come scrisse Antonio Cederna, “per contrastare la micidiale presunzione, ormai dilagante, che il territorio e le sue risorse siano terra di nessuno, res nullius, ovvero oggetto di mercato e terra di conquista, e quindi indiscriminatamente lottizzabili, edificabili e privatizzabili nell’esclusivo interesse privato” (Antonio Cederna, La distruzione della natura in Italia, Castelvecchi 2023, p. 57). Nel caso del progetto di polo logistico a Sinalunga, difendere un ‘semplice’ terreno agricolo significa mantenere viva la memoria della bonifica lorenese che ha definito come un’opera d’arte questo tratto di Val di Chiana, con la sua civiltà contadina mezzadrile, con la mirabile architettura rurale delle leopoldine, nelle quali utile e bello si univano (e si uniscono tuttora in quelle ancora rimaste in piedi) indissolubilmente, generandosi a vicenda. Significa preservare quella porzione di territorio dove è stata selezionata, quasi un secolo fa, la Razza chianina, apprezzata in tutto il mondo per la qualità delle sue carni. Significa seguire il monito di Pier Paolo Pasolini espresso in un bellissimo documentario del 1974, La forma della città, dove era pressante l’invito a resistere alla ‘civiltà dei consumi’ e alle sue dannose conseguenze sociali anche attraverso la difesa di beni culturali ‘minori’ e, proprio per questo, più fragili e vulnerabili rispetto a quelli più noti e ammirati: qualche ettaro di campagna coltivata a cereali lungo l’Autostrada del Sole non ha la stessa risonanza mediatica ed emotiva, a torto o a ragione, di un capolavoro da museo o di una stradina costeggiata da cipressi nella vicina Val d’Orcia. Eppure il comitato civico che si è costituito dal basso per contrastare il progetto di polo logistico nel Comune di Sinalunga  intende fare di questa azione popolare di opposizione alla cementificazione e al degrado, ad una idea ormai desueta di sviluppo, una battaglia in nome della nostra Costituzione, di tutto ciò che è indicato nell’articolo 9 e che troppo spesso è colpevolmente dimenticato o stravolto, anche con il rischio di perdersi nel labirinto delle norme e della  segmentazione di competenze fra Stato, Regioni e Comuni che contribuisce in modo così efficace alla mancata tutela del paesaggio, nella convinzione che “sa indignarsi solo chi è capace di speranza” (Seneca).

In conclusione, tornando alla “utilità dell’inutile” di cui ha scritto Hadot, è evidente che la politica con le sue scelte dovrebbe attingere dalla lezione della filosofia il cui fine principale è, secondo lo studioso francese, proprio “imparare a vivere una vita più umana” (Pierre Hadot, op.cit., p. 195). Come ha precisato Salvatore Settis, è necessario “essere convinti (e convincere altri cittadini) che la qualità del paesaggio e dell’ambiente non è un lusso, ma una necessità. È un investimento sul nostro futuro e rappresenta, come mostrano trenta secoli di storia italiana, un valore cruciale che ha natura non solo culturale, ma civile ed economica. Influenza direttamente, anzi innerva, la qualità della vita, la felicità degli individui e la ricchezza della vita comune. Non può essere svenduta al profitto di pochi predatori senza scrupoli. A nessun prezzo” (Salvatore Settis, op.cit., pp. 307-308), proprio perché “conservazione della natura significa soltanto, alla fine, conservazione dell’uomo e del suo ambiente, incolumità e salute pubblica e quindi anche, proprio per questo, progresso economico, culturale e sociale” (Antonio Cederna, op.cit., p. 59). Ecco, quindi, che, sotto questo aspetto, anche se alla fine sarà realizzato un solo capannone in questo angolo di paesaggio toscano giunto miracolosamente integro fino a noi, sarà una sconfitta per tutti. E non potremmo dire di non essere in qualche modo fautori complici di questa “Italia provvisoria”, senza memoria e futuro.