arte

Ecco perché Raoul Dufy è il pittore della gioia

Gabriele Simongini

«Quando gli uomini uccidono la gioia non mi pare che vivano». Questa riflessione di Sofocle era condivisa da due sommi pittori della felicità come Henri Matisse e Raoul Dufy. E proprio a quest' ultimo, ingiustamente meno noto del primo, Palazzo Cipolla, straordinario spazio espositivo che ci ha sempre offerto mostre uniche ed irripetibili, dedica da oggi la grande rassegna appunto intitolata «Raoul Dufy. Il pittore della gioia». E' un evento espositivo promosso dalla Fondazione Terzo Pilastro - Internazionale per volontà del suo Presidente Prof. Emmanuele F. M. Emanuele, realizzato da Poema con il supporto organizzativo di Comediarting e Arthemisia, ideato dal Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris, Paris Musées e curato da Sophie Krebs con il contributo di Nadia Chalbi. Oltre 160 opere tra dipinti, disegni, ceramiche e tessuti provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private francesi, offrono un panorama completo della polifonica attività creativa di questo artista completamente votato ad immergersi nella vita moderna e a trasmetterci piacere tramite la pittura.

 

  

Su questa via, Dufy (Le Havre, 1877 - Forcalquier, 1953) ha avuto il merito di assorbire l'attimo fuggente degli impressionisti (soprattutto Monet e Pissarro) intensificandolo con la forza cromatica dei «Fauves«, di cui fece parte, e dandogli una sorta di coerenza strutturale sulla base della sua riflessione sulla pittura di Cézanne. Una parola chiave del suo inesausto percorso di ricerca è «decorazione» che per Dufy era l'essenza stessa della pittura. E attraverso le 13 sezioni tematiche in cui si articola la mostra si può ammirare il suo talento in tante tecniche diverse, dalla xilografia alla pittura e alla grafica, dalle ceramiche ai tessuti, dalle illustrazioni alle scenografie. In fin dei conti, l'essenza della vita moderna cantata da Dufy è una specie di mondo fluttuante e palpitante, tutto intriso di colore-luce. Ecco bagnanti, uccelli, cavalli, paesaggi marittimi, ippodromi, regate, immersi in una gioia cromatica che dialoga bene anche con un segno veloce e quasi stenografico.

Del resto, diceva Dufy, «nella pittura l'elemento essenziale è il colore. Il colore è un fenomeno della luce. Per i colori la natura si serve della luce. Per captare la luce il pittore si serve dei colori». E l'artista francese fu capace anche di opere monumentali come «La Fée Electricité» («La Fata Elettricità», 1937 - 1938), uno dei dipinti più grandi al mondo, lungo ben 62 metri, composto da 250 pannelli e commissionatogli per il Padiglione dell'elettricità all'Esposizione Internazionale del 1937 a Parigi. A Palazzo Cipolla viene eccezionalmente esposta la replica in scala 1:10 dell'originale, accompagnata da pregevoli studi preparatori.

Bellissima, tra le altre, la sezione dedicata alla moda e alla decorazione. Dufy adattò le sue creazioni tessili alla produzione industriale e attinse in quell'ambito ai suoi motivi prediletti: i fiori, le fantasie animalier ed esotiche, il mare e i soggetti mitologici, ma anche Parigi, la vita contemporanea e lo sport, per finire con magnifiche decorazioni astratte e geometriche il cui vero protagonista è il colore stesso. Pur amareggiato dall'estrema difficoltà di dialogare positivamente con le istituzioni pubbliche a proposito dei tanti campi di intervento della Fondazione Terzo Pilastro - Internazionale, con iniziative di valore sociale, culturale, formativo ed artistico che non hanno eguali nel nostro paese, un mecenate illuminato come il Prof.
Emanuele continua, anche con questa mostra, a portare avanti il suo convincimento che "l'arte supera tutte le barriere, affratella ed unisce. Questa rassegna è nel mio cuore soprattutto per il periodo mediterraneo di Dufy, poiché l'artista francese nel 1922 viaggiò per l'Italia, visitando Firenze, Roma, Napoli e poi la mia amata Sicilia, restando impressionato dalla sua natura atemporale. La particolarità di Dufy risiede nel dissociare gradualmente, nel corso della sua maturazione artistica, il colore dal disegno, semplificando il più possibile: egli eludeva il soggetto dell'opera per una sorta di propensione al principio dell'indeterminatezza, facendo sì che il segno si posasse sul colore con disinvoltura, mosso dalla pura gioia del dipingere».