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Premio Guido Carli, il ministro Brunetta: "Oggi starebbe dalla parte di Draghi e Macron per la nuova Europa"

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A Roma è stato il giorno della XIII edizione del "Premio Guido Carli". All'Auditorium Parco della Musica venerdì 6 maggio è stato assegnato il riconoscimento a economisti, imprenditori e a chi si è distinto nei settori più diversi: cinema, sport, moda, arte, diplomazia e solidarietà. "Oggi Carli starebbe al fianco di Mario Draghi, il miglior interprete di questo spirito del tempo, Zeitgeist, il suo miglior erede" ha dichiarato il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta.

"Per un’Europa più forte, più ricca, più giusta e più sovrana - ha sottolineato Brunetta - Per quell’Europa che è nelle strade di Bucha e nei tunnel di Mariupol, come ha detto questa mattina la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola. Ha ragione: non c’è alternativa all’Europa, baluardo della democrazia liberale, della pace e della libertà. È questo che Guido Carli aveva capito prima degli altri".

L'intervento integrale
Saluto la presidente della Fondazione Guido Carli Romana Liuzzo e la ringrazio: ogni anno, da tredici anni a questa parte, il Premio intitolato a suo nonno Guido ci permette di onorarne la memoria e riscoprire la straordinaria attualità del suo pensiero e della sua opera. Comincio la mia riflessione, in questi tragici momenti, che toccano la nostra vita di italiani e di europei, ricordando Guido Carli e l’Europa. Tanto ha fatto Carli per l’Europa. Potremmo anche dire: “Tutto”. Fu Carli, fin dal Secondo Dopoguerra, ad avallare e negoziare i “vincoli esterni” che hanno, di fatto, obbligato l’Italia a delegare, a istituzioni internazionali e sovranazionali, rilevanti quote di sovranità, con lo scopo di migliorare l’economia e l’efficienza del Paese. Attraverso i suoi molti incarichi, da negoziatore per l’adesione italiana agli Accordi di Bretton Woods a presidente del MedioCredito centrale, da Governatore della Banca d’Italia a ministro del Tesoro, è stato indubbiamente tra i principali protagonisti della trasformazione dell’Italia da società chiusa, a economia protetta, a società aperta, a economia di mercato. Quest’anno si celebra il trentennale del suo capolavoro negoziale “europeo”: il Trattato di Maastricht, di cui - da ministro del Tesoro nel settimo Governo Andreotti - fu tra i firmatari per l’Italia il 7 febbraio 1992. Le contrapposizioni tra Stati Membri erano, allora come ora, molto aspre, ma il nostro Paese diede prova di grande lungimiranza e unità, nella convinzione che l’Europa potesse rappresentare un’opportunità imperdibile per la modernizzazione del Paese. Nella sua autobiografia “Cinquant’anni di vita italiana”, Carli scriveva come l’Italia avesse ricevuto con il Trattato “una nuova occasione per ritentare l’impresa ripetutamente fallita in questi decenni: innestare l’economia di mercato nel tessuto vivente, nelle fibre della società, introdurla a mentalità della classe dirigente, favorire la nascita di una nuova classe dirigente”: è la stessa opportunità che ci troviamo oggi di fronte con Next Generation EU. A trent’anni da Maastricht, possiamo dire che il percorso di integrazione monetaria ha contribuito al recupero della credibilità in materia di finanza pubblica in un Paese affetto da azzardo morale cronico. Durante il negoziato, i tedeschi, il cui rigorismo si era esacerbato sul finire del 1991, spingevano per inserire rigide soglie parametriche nel testo. Anziché il rispetto pedissequo di una soglia, Carli propose, e riuscì a ottenere, l’introduzione del criterio della tendenza a un obiettivo soglia. Un merito storico di cui ha beneficiato tutta l’Europa. Qui vengo al cuore del mio discorso: che cosa farebbe oggi Carli per l’Europa? Non ho alcun dubbio: starebbe dalla parte di Draghi e Macron, sosterrebbe lo spirito aleggiato al Consiglio europeo informale di Versailles del 10-11 marzo, sosterrebbe il disegno di un’Europa sovrana su energia e sicurezza attraverso un nuovo indebitamento comune. Un nuovo momento Hamilton. Un Next Generation EU 2 che, stavolta, non dovrebbe essere ripartito tra 27 Stati come avvenuto per rispondere alla crisi provocata dalla pandemia, ma dovrebbe servire a raccogliere fino a 2.000 miliardi per rafforzare la sovranità europea nei settori strategici che la guerra in Ucraina ha drammaticamente messo in risalto come punti di fragilità del processo di integrazione: energia e difesa, appunto! Il 9 maggio, lunedì prossimo, l’Europa è a un bivio. Citando il presidente Mattarella, quello tra “una regressione della sua storia” e “la capacità di sopravvivere ai mali 2 del proprio passato e di superarli definitivamente”. Ci saranno due discorsi lunedì: quello violento di Putin a Mosca, nella Piazza Rossa, per le strumentali celebrazioni della vittoria russa sui nazisti; quello di Macron a Strasburgo, all’Europarlamento, per la cerimonia conclusiva della Conferenza per il futuro dell’Europa, dove il presidente francese pronuncerà parole sull’Unione che ci attendiamo ancora più forti di quelle pronunciate alla Sorbona il 26 settembre del 2017. Revisione dei Trattati, sovranità europea, difesa comune, politica estera comune, rivoluzione digitale e ambientale. Da un lato, a Mosca, l’involuzione insanguinata e la tragica regressione della guerra, un disegno di egemonismo da parte di un’autocrazia, inefficiente e violenta come tutte le autocrazie. Dall’altro lato, a Strasburgo, un progetto di crescita, di inclusione, di diritti, di democrazia e libertà. Guido Carli ci ha insegnato dove stare: da una parte sola, quella della nuova Europa. Un’Europa capace di resistere agli “istinti animali” (per riprendere l’espressione che usò per definire le forze della società italiana che remavano contro l’efficienza) per far prevalere la responsabilità collettiva. Un’Europa pronta a modificare i suoi Trattati per rafforzarsi, come ha chiesto Draghi il 3 maggio a Strasburgo evocando un “federalismo pragmatico”, e come prevede la risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 4 maggio con l’avvio di una nuova Costituzione europea. Nessuno Stato si salva da solo, non c’è sovranità possibile se non europea. “Nel dubbio, per l’Europa”, ci ammoniva Helmut Kohl. Oggi Carli starebbe al fianco di Mario Draghi, il miglior interprete di questo spirito del tempo, Zeitgeist, il suo miglior erede. Per un’Europa più forte, più ricca, più giusta e - in ultima analisi - più sovrana. Per quell’Europa che è nelle strade di Bucha e nei tunnel di Mariupol, come ha detto ancora questa mattina la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola. Ha ragione: non c’è alternativa all’Europa, baluardo della democrazia liberale, della pace e della libertà. È questo che Guido Carli aveva capito prima degli altri. Ora tocca a noi. Il futuro dell’ordine democratico globale è sulle nostre spalle. Dobbiamo difendere la politica della speranza. Whatever it takes. “L’Europa sarà forgiata nelle crisi e sarà la somma delle risposte a quelle crisi”, diceva Jean Monnet. Oggi è il tempo delle risposte.

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