di Lidia Lombardi Costantino, l'imperatore che permise ai cristiani di prosperare (infatti il primo documento che liberalizza il culto di Gesù è emanato nel 311 da Galerio ed egli in realtà lo conferma) non fu spesso a Roma.
Erail 28 ottobre 312. E ancora 1700 anni fa, nel 313, con l'Editto di Milano il figlio della pia Elena riasseriva per i cristiani la liceità della fede nel Dio fatto uomo. Ma, a dispetto dei rari soggiorni romani, riandare nei luoghi «costantiniani» richiede nella Capitale molte tappe. Cominciamo cronologicamente dalla cosiddetta battaglia di Ponte Milvio. La quale in realtà avviene a Saxa Rubra, l'altura sulla via Flaminia ora sinonimo di sede Rai. Proprio tra quei sassi di tufo si acquartierò l'esercito di Costantino, uno della tetrarchia di «cesari» istituita da Diocleziano. Veniva dalle Gallie per arginare le mire espansionistiche di Massenzio, che regnava sulla caput mundi. La notte prima dello scontro il leggendario sogno: in cielo vede - più che una croce, segno di martirio - un crismos, ovvero le lettere greche chi e ro componenti il nome di Cristo e profeticamente intrecciate. «In hoc signo vinces» l'investitura divina. L'avversario, forte di 25 mila uomini contro i suoi 17 mila, gli facilita il compito. È fatale a Massenzio allontanarsi da Roma, lottare col Tevere alle spalle. Ma tant'è. L'Urbs è di Costantino che dà subito impulso alla costruzione di luoghi di culto tanto grandi da poter contenere le masse dei fedeli. Sorgono le basiliche costantiniane, tipiche nella pianta, replicate in Oriente. La prima è San Giovanni in Laterano, finita nel 318. Segue San Pietro, sulla tomba dell'Apostolo. E l'immagine di Costantino? Ovale allungato, sopracciglia marcate su occhi scurissimi. Ce la restituiscono gli affreschi di un luogo appartato, la chiesa dei Santi Quattro Coronati, ovvero 4 soldati martirizzati da Diocleziano per non aver voluto adorare Esculapio. Al loro si sovrappone il culto di 5 scalpellini che pagarono con la morte il rifiuto di scolpirne la statua. Alta sul Celio, la basilica paleocristiana retta da suore di clausura, le Agostiniane, ha nel parlatorio con la grata e la «ruota» una cappella, l'Oratorio di San Silvestro, il papa ammesso a Roma proprio da Costantino. La luce che avara penetra da due alte finestre rivela le pitture murarie. Narrano, nella fissità bizantina delle figure, la conversione dell'imperatore: eccolo lebbroso, eccolo battezzato da Silvestro e così guarito. Ed ecco la madre Elena che indica sul Golgota la Croce di Cristo. La vista e il cuore sussultano uscendo dalla Basilica: volgendosi indietro si scorge il Colosseo, luogo di martirio per i fedeli del Nazareno. Di fronte si stagliano contro il cielo, di spalle, le statue in cima a San Giovanni. E se tirassimo un aereo filo, incontreremmo la vicina chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, sorta sulla dimora di Elena, l'imperatrice che dalla Palestina portò a Roma le reliquie del Salvatore. Costantino ed Elena ora «regnano» sul Campidoglio: nei Musei Capitolini le loro sculture gigantesche, omaggio a chi ha segnato uno snodo della Storia.