di Lidia Lombardi Gregorio Ugdulena, chi era costui? Se lo è chiesto nelle mattinate al Pincio Maria Luisa Della Luna, per decenni alto funzionario dello Stato, fiera toscana appassionata di storia.
Nesono scaturiti tre libri, «La bella storia d'Italia raccontata nei busti del Pincio», che Della Luna tiene gelosamente nel cassetto e che andrebbero pubblicati. Perché di ogni nome scevera non solo la biografia, ma gli intrecci - antenati, discendenti, fortuna - con le vicende del Bel Paese e della Capitale che li ospita a Villa Borghese come Convitati di pietra spesso ingiustamente dimenticati. La studiosa li ha appena illustrati in un tour promosso dall'Associazione Culturale Spongia Solis (tel. 0687138124) che si ripeterà a primavera. Ad accendere i riflettori sui Padri del Pincio, come sarebbe bello chiamarli, è anche il restauro di cinque busti, appaltato da Zètema con impegno finanziario di 11 mila euro e appena avviato. Proprio da uno «sfregiato» è cominciato il giro di Della Luna. È il compositore Domenico Cimarosa. I vandali gli hanno dipinto di rosso le labbra e lui ora se ne sta lì, come un trans, impacchettato di cellophane alla Christo, sullo sfondo di uno degli alberi più belli della Villa, un gigantesco ginco biloba che nella cascata di foglie oro è meglio di un albero di Natale. Agli altri - Vincenzo Monti, G. Battista Niccolini, Alessandro Manzoni, Maurizio Bufalini - i restauratori riattaccheranno il naso, prendendolo dal deposito di calchi che il Comune ha approntato, visto che è la menomazione più frequente imposta ai busti. Ma torniamo al misterioso Ugdulena. È un sacerdote siciliano, liberale così rigoroso che viene spedito in esilio a Favignana negli anni tempestosi del Risorgimento. Insegna aramaico all'università, ma conosce altre otto lingue. Garibaldi lo nomina ministro dell'Istruzione del suo governo provvisorio. Poi entrerà nel primo Parlamento italiano. Tra i garibaldini c'è anche Salvatore Greco dei Chiaromonte, che a Roma fondò la Sala d'Armi in via del Seminario. I busti del resto sono figli del Risorgimento. Il primo nucleo di 52 fu un'idea dei triumviri della Repubblica Romana del 1849. Mazzini, Armellini e Saffi vollero dare lavoro ai giovani artisti e stanziarono 10 mila lire perché immortalassero degni personaggi. Con la Restaurazione le sculture furono ammassate nella Casina Valadier finché Pio IX non decise di esporle. Con un rigurgito di censura, però: via dal Pantheon del Pincio eretici, atei, licenziosi. Così gli si cambiarono un po' i connotati e il nome. Ecco che Leopardi, per esempio, è diventato il pittore greco Zeusi. Dopo però è stato riabilitato e ha il suo bel busto con naso importante e capigliatura tormentata. Col Regno d'Italia e poi col Comune, che acquisì Villa Borghese nel primissimo '900, i busti sono stati quadruplicati. Una disposizione impone che non si ritraggano personaggi prima dei 25 anni dalla morte. Comunque le donne sono rimaste solo tre: Caterina da Siena, Vittoria Colonna e Grazia Deledda. L'ultimo arrivato, nel 1956, è Lorenzo Perosi, direttore del Coro della Sistina.