di Dina D'Isa A Roma per presentare il suo bel film «La parte degli angeli» (già premio della Giuria all'ultimo Festival di Cannes), il regista inglese Ken Loach, paladino dei lavoratori, ha puntato il dito contro il capitalismo.
Quelloche va spezzato è però il collegamento tra grandi multinazionali e politici. Anche la sinistra, come la destra, punta alle privatizzazioni, ma dice che le farà più lentamente: ma se devi essere strangolato non fa differenza se lo fanno più lentamente. Il capitalismo è in crisi e dobbiamo organizzarci, unirci al grido dello slogan del sindacato Usa: agitare, educare e organizzare. Visto che ormai si tagliano i servizi e la società civile sta morendo. I miei anni più difficili sono stati gli '80, con la Thatcher: da 500 mila disoccupati si è passati a 3 milioni. Le fabbriche chiudevano e per gli stessi sindacati la situazione era incontrollabile». Riguardo poi al suo recente rifiuto del Premio Gran Torino, Loach ha sottolineato che sarebbe andato al festival, «ma quando hanno capito che non avrei ritirato il premio non mi hanno più invitato. Più che i festival sono importanti le persone, i lavoratori che hanno un salario da fame». E qui il regista ha tirato fuori una lettera ricevuta ad agosto in cui si legge la preoccupazione da parte del festival verso i lavoratori: «Il direttore del museo si è definito consapevole dei gravi problemi dei lavoratori e delle mie preoccupazioni e si è dimostrato disponibile a trovare una soluzione ai problemi da me sollevati, ovvero l'esternalizzazione del lavoro, i salari eccessivamente bassi e 5 lavoratori licenziati per motivi non equi. Ma nella lettera - ha aggiunto Loach - c'è scritto anche, da parte del direttore del museo, che quest'ultimo non poteva essere ritenuto responsabile per comportamenti di terze parti. Se accettiamo questo principio ogni azienda farà come vuole. C'è chi pulisce i nostri uffici con salari da fame e questo non si può ignorare: è questa la principale differenza tra me e chi non si preoccupa di queste cose». Loach ha poi contestato l'appellativo di «megalomane» che gli era stato affibbiato dal direttore Gianni Amelio: «È stato triste essere definito megalomane, cosa che non sono e non lo è neppure chi mi ha definito così. Peccato, ma l'importante per me restano i lavoratori». Oggi Loach andrà comunque a Torino per incontrare i lavoratori della Rear, mentre dal 13 dicembre sarà nelle sale con il suo film «La parte degli angeli», una commedia che distilla impegno sociale e humour made in Glasgow, gioventù bruciata e whisky sofisticato. «Il mio film precedente sulla guerra in Iraq era molto duro - ha ricordato Loach - Poi, ho pensato fosse ora di sorridere su quanti, e sono milioni di europei, non ha né lavoro né futuro. Ho deciso di ridere con loro, perché ridere è un modo di esprimere la nostra umanità e di non vederli solo come vittime. Ecco che la mia commedia diventa happy ending e al centro ci sono le contraddizioni del whisky: pur essendo la bevanda nazionale scozzese, i giovani non lo bevono perché costa troppo. D'altra parte, sono le avversità a produrre una commedia. Mentre di cinema sociale e d'impegno non ce n'è quasi più. Ci sono molti registi interessanti, ma lo spirito è molto diverso da quello degli anni '50. Tutto oggi dipende dal mercato e per fare il regista devi essere prima di tutto un imprenditore: molti cineasti trasformano le idee iniziali pensando al mercato. Il problema dipende da chi finanzia i film». Loach, in ogni caso, non si smentisce e il suo è davvero un bel film che si svolge a Glasgow, dove il giovane Robbie, già recidivo, evita il carcere perché il giudice decide di puntare sulla sua capacità di recupero visto che la sua altrettanto giovane compagna sta aspettando un figlio. Viene così affidato a Rhino, responsabile di un gruppo di persone sfuggite al carcere e condannate a compiere lavori socialmente utili. Dopo aver assistito a un pestaggio, di cui Robbie è vittima e nel momento in cui decide di andare in ospedale per vedere il bambino, Rhino decide di aiutarlo. Scopre così la sua particolare sensibilità gustativa rispetto ai vari tipi di whisky e decide di introdurlo nell'ambiente. Ma a Robbie e ad alcuni suoi compagni di rieducazione viene l'idea di un "colpo" del tutto anomalo che però potrebbe offrire loro un futuro sereno. Ken Loach torna a riflettere su coloro che sono etichettati come irrecuperabili. Con il fido sceneggiatore Paul Laverty utilizza come fulcro narrativo il momento più alto di ogni essere umano: la nascita di un figlio. Decidere di averlo, nonostante tutto, significa sperare, anche se la realtà, oggi, ti costringe alla depressione all'ignavia. Ma Robbie e la sua compagna Leonie, contro il parere di tutti, danno vita e forza al loro incerto futuro dando alla luce il loro piccolo.