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di Franco Cardini La Mondadori ha pubblicato ne «I Meridiani», a cura di Franco Marcoaldi, un volume dal titolo Pellegrino in Asia che ospita una bella raccolta di scritti di Fosco Maraini, figlio di un grande scultore e architetto celebre ne

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Amicodi Tiziano Terzani, anch'egli viaggiatore in Asia e scrittore-giornalista di straordinario valore (il 31 maggio gli sarà dedicato un convegno nella veneziana Fondazione Cini, che ospita la sua biblioteca), Maraini è il continuatore ideale di un gruppo di viaggiatori-studiosi fiorentini di nascita o naturalizzati tali che tra Otto e Novecento, riuniti attorno al Museo di Storia Naturale del cosiddetto "Palazzo Nonfinito" di Via del Proconsolo (uno dei più bei musei antropologici del mondo), fornirono un contributo decisivo allo sviluppo delle scienze geografiche ed etnoantropologiche. Fosco Maraini era un ragazzino quando cominciò a viaggiare e a fotografare. Aveva una grande passione per la roccia e le ascensioni montane: e, come tutti i toscani, si fece quindi le prime ossa sportive sulle vette delle Alpi Apuane, tra Versilia ed Emilia. Fu lì che più o meno sedicenne, verso il '38, gli capitò un episodio che gli restò impresso e al quale egli dedicò un saggio dal titolo Incontrammo il Linchetto?, ora appunto ripubblicato nella raccolta dei suoi scritti. In esso si narra di uno strano ometto dai lunghissimi baffi candidi incontrato per caso e rivelatosi affabile e competentissimo conoscitore di quelle montagne. Ora, il Linchetto è una figura mitologica toscana ben nota tra Versilia e Lucchesia: una specie di gnomo abbastanza mostruoso ma non malvagio, che ama fare scherzi ma dispensa perle di saggezza. Ne ha parlato di recente Matteo Cosimo Cresti in un divertente libro, Fate e folletti della Toscana (Lucia Pugliese Editore), dove però manca la testimonianza relativa ai lunghi baffi. Sul piano antropologico, il Linchetto dovrebb'esssere avvicinato a una creatura mitica molto nota del medioevo europeo, il cosiddetto "Uomo Selvatico" (o "Salvatico") che a sua volta ispirò Giovanni Papini e Domenico Giuliotti per il loro paradossale Dizionario, colpo fierissimo al politically correct vigente nell'Italietta del primo Novecento. Coincidenza vuole che dell'"Uomo Selvatico" sia di recente tornato a parlare un altro studioso fiorentino, il folklorista Carlo Lapucci, che per i tipi dell'editore senese Cantagalli ha curato un volumetto, Il mistero dello Yeti, magmatico saggio scritto quasi mezzo secolo fa da un altro fiorentino, il filologo e studioso di miti e di religioni Attilio Mordini. Il mistero dello Yeti fu ispirato da un articolo comparso nel '65 sul "Corriere della Sera", nel quale si dava conto di uno dei tanti avvistamenti, sulle montagne del Tibet, dello Yeti, il cosiddetto "Abominevole Uomo delle Nevi": un umanoide coperto d'ispido pelo che per molti versi ricorda l'Uomo Selvatico del folklore medievale europeo ed è protagonista di leggende himalayane. Mordini, giocando su una tastiera biblico-mitografica che spazia dalle etimologie comparate al diffuso mito del Diluvio Universale, ipotizza che lo Yeti sia l'ultimo superstite della perduta stirpe dei "figli di Caino" scampati al cataclisma del quale parla la Scrittura. Il saggio, abbozzato in pochi mesi, non fu mai portato a termine: nell'ottobre del 1966 il suo autore si spengeva quarantatreenne, consunto dai postumi della tubercolosi contratta durante la guerra cui aveva preso parte come volontario. È stranissima la vicenda umana e intellettuale di questo geniale outsider della cultura, che ha lasciato numerose opere inedite e che a tutt'oggi è considerato il Maestro di un gruppo di allievi non del tutto disperso dalla diaspora intellettuale. Mordini, di formazione filologo germanista, lettore nell'Ateneo fiorentino e quindi in quello tedesco di Kiel, era terziario francescano e apparteneva al cenacolo della rivista "L'Ultima" che riuniva, nell'immediato dopoguerra, la schiera di quanti si ritenevano "discepoli" della scuola cattoapocalittica di Giovanni Papini: "da destra", come Adolfo Oxilia, o "da sinistra", come Giorgio la Pira e Ernesto Balducci. La breve vita gli impedì di sviluppare il suo pensiero e di fornire ai suoi scritti geniali quell'apparato erudito che egli avrebbe voluto e potuto ad essi corredare. Mordini, però, era coerente con il suo passato di combattente: accettò con serenità di restare in disparte, talvolta di subire emarginazione ed ostracismo. Era un "reazionario" di autentica tempra: non accettava di piegarsi al "vento della storia" e non credeva che la storia avesse alcun senso, alcuna ragione immanente del tipo suggerito dalla scuola hegeliana. Era, per lui, la Provvidenza a muovere il mondo: e le tracce di quel disegno egli indagava anche negli eventi umani e nelle differenti culture. Cattolico "tradizionalista" studioso di san Tommaso e ispiratosi a De Maistre, a De Bonald e a Donoso Cortés, attento allo sviluppo delle relazioni fra le tre fedi abramitiche ed esegeta delle opere di René Guénon, Mordini seguiva, all'interno delle mitologie e delle religioni storiche, le tracce di una prisca theologia animatrice di una religio perennis, sintesi di tutti i credi. Rispettoso di tutte le religioni, affascinato dall'ebraismo, ammiratore dell'Islam, conoscitore di buddhismo e induismo oltre che delle mitologie classica e celtogermanica, Mordini non era tuttavia affatto un sincretista: al contrario, era sostenitore della necessità che ogni uomo restasse fedele alla propria Tradizione e attribuiva massima importanza a culto e liturgia. Quelle schegge di Rivelazione, presenti in tutte le culture del mondo, si sono espresse secondo Mordini nella varietà dei miti e dei simboli che ne costituiscono il polifonico ma non contraddittorio linguaggio universale. Al di là delle sue stesse intenzioni, il Concilio Vaticano II e lo "Spirito di Assisi" ricevono dal suo pensiero una luce che permetterebbe loro di venire interpretati senza esitazioni residue in una direzione limpidamente cattolica, ben oltre le sterili e noiose polemiche attuali tra neotradizionalisti convertiti al pensiero theoconservative e neomodernisti orfani del "cattolicesimo di sinistra". Sarebbe oggi di fondamentale importanza tornar a studiare la sue opere, spesso incompiute e quindi pubblicate in edizioni provvisorie destinate a tali rimanere, in qualche caso ancora custodite in manoscritti inediti.

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