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di Nicola Bultrini Martedì 12 ricorre il trentennale del Pontificio Consiglio della Cultura, il Dicastero voluto da papa Giovanni Paolo II e destinato a favorire le relazioni tra la Santa Sede e il mondo della cultura.

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Cardinale,in una società dominata da scienza e tecnologia e dalla finanza ad esse legate, come può porsi ancora la cultura? Innanzitutto bisogna distinguere tra tecnica e scienza. La prima per sua natura prescinde da tutte le domande fondamentali di ordine culturale. Si regge sul ritmo binario tra possibile e non possibile e lo compie senza interrogativi ulteriori. La scienza autentica invece ha una visione più globale. Ad esempio lo stesso Einstein considerava anche la strumentazione filosofica per la categoria tempo, per elaborare la teoria della relatività. Esiste un incrocio tra la cultura, che è la scienza autentica e il predominio della tecnica, che invece semplifica le grandi domande. La stessa cosa si può dire tra autentica economia (la regola dell'abitare tutti insieme nel pianeta) e la finanza. Ma siamo in un mondo in cui il pendolo oscilla di più verso tecnica e finanza e meno verso le grandi domande che pure la scienza, l'economia, la filosofia e la teologia si pongono. Queste dovrebbero stare nel grande ambito della cultura come conoscenza, come grande orizzonte di fondo. In questo contesto che significato ha il trentennale del Pontificio Consiglio della Cultura? Fino a mezzo secolo fa il concetto di cultura era erede della esperienza illuministica, indicava l'aristocrazia del pensiero, al livello nobile dell'elaborazione umana. Oggi invece il concetto di cultura è diventato antropologico. Registra tutti i fenomeni fondamentali, personali e sociali che abbiano un'elaborazione cosciente. In questa luce abbiamo pensato ad una raggiera di percorsi. Quali sono le nervature principali? Innanzitutto il rapporto fede e scienza (si pensi ai temi della bioetica, delle neuroscienze, delle cellule staminali). C'è poi il tema fede e arte. Un'arte che ha un nuovo linguaggio e non più le categorie tradizionali. Centrale è anche il linguaggio, come fenomeno culturale. Pensiamo ad esempio al bambino "nativo" digitale rispetto a noi che siamo "migranti" digitali. Anche per la comunicazione della fede, dobbiamo tener conto che c'è una nuova generazione che si muove con il linguaggio del cellulare, del twitter, dei blog. Un dipartimento si occupa della questione economica, che studia ad esempio anche la gratuità come componente economica. Capitolo enorme è il Cortile dei Gentili che apre al dialogo con la società secolarizzata. Non dimentichiamo lo sport e le sue nuove liturgie, le grandi celebrazioni. Ci sta a cuore poi il superamento della multiculturalità come coesistenza di più forme culturali che non dialogano. L'interculturalità invece implica anime differenti che si confrontano, evitando il fondamentalismo identitario e il sincretismo generico. L'attenzione è dunque rivolta ai grandi temi dell'uomo nella sua attualità Sì, senza escludere la tutela e la fruizione del grande patrimonio del passato. La Commissione per i beni culturali è l'altro Dicastero da me presieduto, che si occupa di catalogare e conservare il nostro immenso patrimonio artistico e musicale, quindi non solo in dialogo con l'arte contemporanea, ma conservando. Veniamo dunque alla più recente e straordinaria esperienza, quella del Cortile del Gentili Inizialmente fu papa Paolo VI a volere un dialogo con i non credenti. Dopo il discorso di Benedetto XVI a Bologna nel dicembre 2010, abbiamo pensato di creare una struttura permanente. Da febbraio 2011 il Cortile dei Gentili ha avuto una diffusione straordinaria. Abbiamo fatto 10 eventi e ne abbiamo in programma altri 20 in tutto il mondo. Qual è il principio di fondo che anima l'iniziativa? Certamente il vero dialogo, serio e articolato, condotto tra credenti e non credenti a livello alto, su temi che vengono definiti secondo il contesto. Coinvolge inizialmente l'accademia e si allarga poi e si ramifica a livello più basso. Nel recente evento a Palermo il tema era la legalità ed ha coinvolto moltissimi giovani e anche bambini e genitori, credenti e non credenti. E' nato anche il Cortile della Narrazione, animato da Stas' Gawronski, per mostrare che anche i valori si possono raccontare. Più che dialogo, è un vero confronto Si, sempre su temi di servizio alla comunità. Ogni evento tende a seminare l'esperienza. Lo sviluppo diventa quindi progressivo. Si inaugura l'evento che poi continua, in forme scelte tra diocesi e non credenti. A Città del Messico il Cortile è stato aperto da un ateo in una università completamente laica. Dopo un anno di eventi, interverrò io per i lavori di chiusura. Il trentennale è dunque una felice coincidenza e risponde a un'esigenza attualissima. Le richieste di organizzare eventi vengono da tutto il mondo, da Praga a Budapest, Marsiglia, Stoccolma, Tirana. Sono iniziative tese a andare a fondo al senso delle cose, in una società epidermica, è quindi evidente una diffusa sete di spiritualità nella cultura. A volte noi uomini di cultura e chiesa siamo troppo pessimisti a riguardo, perché i giovani invece sono attentissimi e molto più sensibili di quanto pensiamo. Si pensi che tutti gli eventi sono in streaming e le reazioni che registriamo sono quasi tutte di giovani. Io uso twitter tutti i giorni e ho 20.000 followers, per lo più giovani. L'educazione alla lettura critica può essere un modo indiretto di formare le persone a un dialogo? Questo in un orizzonte ancora più vasto. Ora la lettura nei giovani e non solo, si sposta sullo schermo, ma c'è un problema. Quando usiamo il testo stampato, leggiamo seguendo o cercando un percorso. Il fruitore del computer invece riceve un paniere enorme in cui trova tutto e il contrario di tutto. Perciò l'educazione al vaglio critico è oggi molto più difficile. Cambia il tempo di relazione verso il computer, il giovane non ha filtri e la sua reazione interiore è sempre fredda. E' un fenomeno di tipo antropologico che sta mutando l'uomo moderno e che può generare una profonda solitudine.

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