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di Antonio Angeli «L'Italia è un Paese ricco e forte, capace di grandi balzi, ma anche il Paese in cui, ogni giorno, Francesco Guicciardini prende la sua vendetta contro Niccolò Machiavelli»: non usa mezzi termini Davide Giacalone, politologo raffi

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L'Italia,scrive Giacalone, «resta il Paese nel quale quasi tutte le case sono linde e decorose e molte strade sozze e indecenti». Ma perché? «La nostra Repubblica nacque grazie al fatto che le truppe del mondo libero spazzarono via il fascismo. A quel lavoro collaborò il mondo della Resistenza, animato da figure nobilissime di antifascisti, reso attivo da uomini e donne coraggiosi, ma gli uni e gli altri, per venti lunghi anni, estrema minoranza». La conseguenza di questo è che «La Repubblica italiana è in gran parte fondata sulla bugia. Falsificazioni storiche che, a forza di essere ripetute, snocciolando il rosario dell'ipocrisia, vengono scambiate per verità. Siamo nel secondo decennio del ventunesimo secolo, a centocinquant'anni dall'unità nazionale, e ancora lamentiamo l'inesistenza di una "storia condivisa" ancora dobbiamo fare i conti con Salò o con la guerra civile. Capita perché si è costruito sulla bugia». Ma allora, la verità, dov'è? «La nostra Costituzione, la democrazia nella libertà si fondano, prima di tutto, sulla conferenza di Yalta...». E in questa architettura delle bugie i presidenti della Repubblica, più che in qualunque altro Paese, hanno un ruolo primario. Che hanno sempre interpretato ben oltre i limiti imposti dalla Costituzione. Giacalone fa un'autopsia storica spietata di ciascun presidente, compreso quello attualmente in carica. Così il travagliato periodo Gronchi rappresenta l'esempio di quel machiavellismo italico che i padri della costituzione non hanno voluto (o saputo) arginare. Giovanni Gronchi divenne presidente nel 1955 «surfando» (si direbbe oggi) tra le correnti dei diversi partiti e facendola così in barba alla segreteria del principale di questi, la Diccì. Poi, passando per Segni, Saragat e Leone, si arriva al «comunicatore» Pertini che lascerà il passo a Cossiga, ultimo della Prima repubblica e primo della Seconda. Ciampi fu eletto da una politica traballante nella speranza che tornasse alle «vecchie regole», fu invece deciso e attivo più del suo predecessore. Quello del presidente della Repubblica è un potere elastico, capace di occupare gli spazi lasciati liberi da una politica evanescente. Sul Colle i costituenti vollero un garante estraneo alla politica. Da questo siamo lontani. Come dimostra il presidente in carica, Giorgio Napolitano: i suoi continui richiami sono l'indicatore di una politica che deraglia mentre, chissà perché, la società civile intera assiste, immobile, a questo «uscire dai binari» delle regole e delle consuetudini. Questo presidente (ma anche gli altri) alla fine è andato a tappare i troppi buchi rimasti aperti. Ciascuno può giudicare come crede questo o quell'intervento ma, ammonisce Giacalone, prima o poi il traballante equilibrio istituzionale rischia di risultare definitivamente compromesso. L'autore accompagna per mano il lettore nel comprendere quel che è successo e quello che rischia di succedere. La saggezza suggerisce al legislatore di far nascere in fretta la Terza Repubblica, cercando di non rimanere sotto la frana istituzionale. La conclusione di Giacalone, profondo conoscitore delle metastasi che affliggono la nostra vita istituzionale e uomo di rara praticità, offre un finale ad effetto. Se i presidenti si prendono continuamente poteri che non hanno, suggerisce l'autore, forse è ora di dargli, costituzionalmente, questi poteri.

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