dall'inviato Dina D'Isa CANNES Nonostante la crisi, le critiche e gli ostacoli di ogni tipo che deve subire per realizzare le proprie opere, il cinema italiano ancora una volta sventola la sua bandiera Oltralpe.
Mentrela società indipendente di distribuzione Oscilloscope (fondata da uno dei Beastie Boys, Adam Young) ha già comprato i diritti per l'America del suo «Reality». Sotto un insistente temporale, lungo un tappeto rosso e zuppo, la madrina Berenice Bejio e la giuria presieduta da Nanni Moretti hanno salito l'ultima montée des marches per assegnare la Palma d'oro (meritatissima) all'«Amour» dell'austriaco Michael Haneke, con Trintignant e Riva. Un verdetto che ha messo tutti d'accordo, dando il Premio della Giuria all'ironico «The Angels' Share» di Kean Loach e la regia al visionario, hard sex, «Post Tenebras Lux» del messicano Carlos Reygadas; migliore attore il danese Mads Mikkelsen per «The hunt» di Vinterberg; migliore attrice ex aequo per Cristina Flutur e Cosmina Stratan in «Beyond the Hills» del romeno Cristian Mungiu che ha vinto, per questo film su un tenebroso amore lesbico, anche la sceneggiatura. Miglior cortometraggio infine «Silent» di L. Rezan Yesilbas. A bocca asciutta gli americani, il maestro Alain Resnais e l'applaudito Audiard. Mentre si proclamavano i vincitori delle rassegne collaterali (Un Certain Regard a «Después de Lucia» di Michel Franco; Quinzaine des Réalisateurs a «Nuri Bilge» di Ceylan e a «No» di Pablo Larrain; Semaine de la Critique a «Aquiy alla» di Antonio Méndez Esparza) sulla mitica montée des marches è salita ieri Audrey Tautou, protagonista del film di chiusura «Therese Desqueyroux», dedicato alla memoria del maestro Claude Miller, scomparso il 4 aprile scorso. Siamo all'inizio del secolo scorso e le ricche famiglie borghesi della Francia si attrezzano ai tempi nuovi celebrando matrimoni di convenienza che riuniscano le proprietà e siglino alleanze. Ma la giovane sposa appartiene ormai ai tempi nuovi e si ribella alle logiche secolari che scandiscono questo rito. Con le sue idee da donna libera, Therese vuole vivere il suo matrimonio come una scelta e si batterà in ogni modo per imporre anche al marito la logica del tempo moderno. Un'opera corale che profuma di nostalgia e ricorda i grandi affreschi campagnoli che vanno da Pagnol a Tavernier, ma non dimentica il fil rouge di questa 65esima edizione del festival francese. L'ossessione in tutte le su forme, dalle più folgoranti e spirituali (come in «Amour» di Haneke o nel russo «In the fog» dove l'espiazione semina il dramma), a quelle tra adolescenti (di «Mud» o di «Moonrise Kingdom»), passando per la fede nei cambiamenti rivoluzionari (quelli di «After the battle» nel regime di Moubarak e quelli contro il proibizionismo americano del 1931 in «Lawless»). Fino a agli amori deviati, trasgressivi ed estremi che si consumano in «The Hunt» (nel sospetto di un uomo additato di pedofilia), in «On the road» (sulla sperimentazione sessuale della Beat generation) o in «Post Tenebras Lux» (sul gelo di una coppia innamorata che cerca giochi estremi per ritrovare la propria identità sessuale), e ancora in «Holy Motors» (sulla perversa frantumazione di tante personalità che si sovrappongono), oppure in «The Paperboys» che racconta come la possessività rischi a volte di trasformarsi in uxoricidio. Mentre le donne mature e sfatte fanno a gara per conquistarsi un amplesso con i neri in «Paradise: Love». L'emozione corre sul filo rosso dell'eros e del sangue senza tralasciare l'ossessione per il potere e il denaro che coinvolge tutto il mondo: dal coreano «The taste of money» (dove la donna ricca domina i giochi interrelazionali) all'americano «Cosmopolis» dove Cronenberg dipinge un futuro drammatico che vede il crollo economico ed esistenziale dei business men più potenti. In «Reality», prodotto dallo stesso regista, con Fandango e Rai Cinema, e dal 28 settembre al cinema, Garrone ha invece puntato sull'ossessione della fama, della popolarità facile che si raggiunge attraverso il piccolo schermo: l'inizio è folgorante. Una vistosa carrozza barocca con due cavalli bianchi viene seguita dall'alto fino alla sua destinazione, il ricevimento matrimoniale. Dentro la carrozza due sposi di un matrimonio cafone quanto ricco con tanto di ex Grande Fratello come guest star, uno che si chiama Enzo e ha un record: 116 giorni nella Grande casa. L'ossessione è quella di Luciano (Aniello Arena), pescivendolo napoletano con famiglia variopinta, rumorosa e obesa nelle sue forme boteriane. Luciano - maschera di pulcinella in carne e ossa - vive con sua moglie Maria (Loredana Simioli) e figli in un palazzo con androne che sembra una quinta teatrale. Lui vende il pesce ma fa anche piccole truffe e, a richiesta, qualche spettacolino da improvvisato guitto. Il provino con il Grande Fratello arriva quasi per caso. Ma il vero problema è che Luciano è convinto di avercela fatta. La chiamata però non arriva, ritarda, e così per lui il Grande Fratello comincia prima. Si sente già le telecamere addosso. Pensa che lo stiano studiando per considerare se chiamarlo o meno, e diventa persino francescano donando i mobili della sua casa per far colpo su quei dirigenti della tv che potrebbero rivedere, in positivo, il suo ingresso a Big Brother. Ma non accade niente. E per lui la follia sale, mentre sul muro della sua stanza compare un grillo che ricorda quello di Pinocchio. Alla fine, sarà proprio la sua follia ad essere riconosciuta come un elemento accattivante, da mettere in mostra nel circo irriverente del Big Brothers, dove una Claudia Gerini in versione televisiva reinterpreta la conduzione di Alessia Marcuzzi.