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di Antonio Angeli «L'elenco degli attentati alla dignità dell'uomo è pressoché infinito...»: l'essere umano dall'inizio dei tempi è teso come una corda di violino tra la sua «nobiltà» e la sua «bestialità».

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Questasua doppia natura che, con l'incedere della storia umana sembra fragilmente volgersi alla sua parte migliore, è illustrata in modo cristallino dall'avanzare del concetto di «diritti sociali». Argomenti ostici, da sociologi e storici, ma che fanno sentire il loro peso sulla quotidianità di ognuno di noi. Se una famiglia può serenamente godere della sua tranquillità, se i bambini e le donne vengono rispettati, se gli uomini sono trattati con dignità e con dignità è considerato il loro lavoro... ecco tutto questo dipende da come la collettività tratta il singolo: «tutti» i singoli, che diritti gli accorda e se gli applica una giustizia equa. Non si tratta di concetti che riguardano l'aspetto speculativo del sapere: un Paese che vive con rigore (quello vero) l'equilibrio tra diritti e doveri, un Paese che sa rispettare i più deboli e premiare chi «corre», ecco, quella nazione sarà anche ricca, prospera, sicura, giusta e socialmente pacificata. Di tutto questo, e molto di più, ci parla un saggio di scienze sociali, entusiasmante come molto, molto raramente sono i libri di questa categoria: «La libertà fragile. L'eterna lotta per i diritti umani», di Louis Godart, una bella edizione Mondadori, 17 euro, 137 pagine, disponibile anche in e-book. Sul retro di copertina: «Se i sacri principi di libertà, uguaglianza e fratellanza illuminano le odierne dichiarazioni dei diritti umani, è perché migliaia di uomini e di donne hanno combattuto strenuamente nel corso dei secoli per imporli a chi deteneva il potere», con questo duro monito si pongono le due «colonne» dell'agile volumetto di Godart: primo, la libertà è un valore «sacro»; secondo: il potere si autoconserva. Quando si riesce a stabilire un principio di eguaglianza, di equità, con fatica e dispendio di generoso sangue, deve essere chiaro a tutti, ammonisce l'autore, che mantenere quella conquista potrebbe essere più difficile che ottenerla. «Integralmente promulgata dal re il 3 novembre 1789, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e del cittadino sarà l'ultima ordinanza firmata dal sovrano e servirà da Preambolo alla prima Costituzione emanata durante la Rivoluzione francese» e, spiega Godart, «la Dichiarazione è un proclama solenne di verità semplici» e inoltre «è una reazione contro l'arbitrio e l'incertezza dell'Ancien Régime, poiché prevale ormai il principio del carattere pubblico dei diritti dell'uomo e del cittadino». Non sfugge il riferimento universale di queste parole: un predecessore prossimo di quel sovrano, Luigi XVI, travolto dalla Rivoluzione francese, proclamava: «Lo Stato sono io». Ma l'assolutismo genera «arbitrio e incertezza». L'accentramento del potere, basato sui capricci del sovrano, non solo non crea stabilità politica, ma al contrario mina la vita stessa del Paese e la sicurezza di tutti. Compresa la scellerata e ottusa classe dirigente che governa. Godart, con questo saggio agile, godibile, appassionante eppure rigoroso, ci ricorda che «i diritti umani sono un prodotto della modernità». «La loro comparsa è legata a un contesto intellettuale e filosofico che si è imposto a poco a poco fino a diventare dominante in Europa nel Seicento e nel Settecento e che aveva come trave portante la fede nel progresso, nelle virtù della scienza, nell'universalità della ragione». Ma è anche vero che la presa di coscienza della centralità storica dei diritti umani si è formata con «infinite esperienze che i millenni hanno accumulato nel corso della storia». E il lungo e tormentato viaggio della conquista dei diritti dell'uomo è l'affresco della civiltà umana e del suo processo di evoluzione, dal Codice di Hammurabi al cilindro di Ciro il Grande, dal Codice di Cnosso al Talmud, dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, durante la Rivoluzione francese, alla Dichiarazione di Indipendenza americana, fino all'abolizione della schiavitù in Sudafrica con Nelson Mandela. Il professor Godart ci accompagna in un percorso riccamente illustrato tra antiche pergamene e quadri di Bruegel, Jacques-Louis David, Delacroix, Pellizza da Volpedo e Picasso, per scoprire che l'arte, con la sua potenza narrativa e valore immortale, è uno straordinario sistema di difesa dall'ignoranza e dall'intolleranza. Sì perché, come diceva Mazzini, l'ignoranza è la prima schiavitù. Una schiavitù sconfitta e gettata nella polvere che però classi politiche fameliche e gruppi imprenditoriali ottusi camuffano, riscaldano e ripropongono costantemente, nel tentativo di rimettere insieme quell'Ancien Régime che porta solo fame e miseria.

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