di Lidia Lombardi Ieri il cuore della Capitale - ma possiamo chiamarlo l'ombelico del mondo, se vale la profezia del Venerabile Beda e il detto che tutte le strade portano a Roma - pulsava allegro, orgoglioso del corpo per il quale pompa.
TraColosseo e Palatino, all'ombra dell'Arco di Costantino e sui pietroni rompitacchi della Via Sacra, i nugoli di turisti con la cartina geografica in mano, gli scatti delle macchine fotografiche, la babele di lingue facevano immaginare magnifiche sorti e progressive di rinascita italiana. Lasciateci sperare. Anche perché oltre a fior di monumenti abbiamo fior di archeologi, sovrintendenti, ingegneri, tecnici. Si deve a loro se ieri si sono inaugurate - in contemporanea e a distanza di pochi metri - due iniziative ricche di suggestione. Sul Palatino la mostra «Orti e Giardini» che tra i resti della dimore imperiali ha sistemato 12 mila piante, a ricreare gli ameni esterni dei notabili romani. Il Colosseo invece è stato aperto in notturna, una chance per visitarlo sotto le stelle che durerà primavera ed estate, tutti i giovedì e i sabato. Allora, eccolo il carnet pienissimo del turista. La mattina passeggiata sulle spianate verdi del Palatino, sulle terrazze affacciate sul Circo Massimo, odorose di petunie e di verbene. Al calar del sole, l'ingresso nella cavea dell'Anfiteatro Flavio, meglio di un set per quell'effetto notte regalato anche dalla nuova illuminazione interna. Così ieri, il colpo d'occhio a mezzogiorno, nella «piazza» pedonale sulla Meta Sudante, era di stranieri abbagliati da sole e antichità. Poco assedio di ambulanti, «urtisti» scarsi, camion bar confinati all'inizio di via dei Fori Imperiali, tutt'al più i «foresti» appoggiati alle cancellate col «paninozzo». E freschi sposi in posa per l'album di nozze, e tedeschi in camiciona a quadri e facce arrossate dal sole, e americani in tenuta da joggin ed esclamazioni zeppe di «wow» e «wonderful». A proposito di conterranei di frau Merkel e di mister Obama. Sono i più appassionati fruitori della bella trovata messa in atto alle biglietterie del Colosseo. L'audioguida in latino, a dispozione da pochi giorni. Infili le cuffie, fai clic e una voce di uomo ben impostata sciorina nella lingua di Virgilio le meraviglie degli ambulacri, della cavea, degli tre ordini di travertino, dei gladiatori, del panem et circenses. Mica poi un'astruseria, questo ritorno alla favella classica. Ogni giorno di queste audioguide ne vengono affittate tra le venti e le trenta. «Tutti stranieri quelli che le richiedono. Tedeschi e americani», informano gli addetti. Altra suggestione al tramonto. L'anfiteatro Flavio si colora di rosa, mentre le ombre sono sempre più lunghe. Poi s'accendono i fari. Un'illuminazione che la Sovrintendenza sta sperimentando proprio in queste prime aperture serali, un work in progress in attesa di scelte definitive. Enormi spot predisposti dall'Acea e ben nascosti sull'ultimo ordine di arcate. Sostituiscono la «mongolfiera» luminosa usata negli scorsi due anni, a mo' di luna piena capace di diffondere una luce algida sulle pietre imperiali. Invece adesso i toni sono più caldi, l'atmosfera più morbida. Nella cavea si entra come in un rito, un'iniziazione alla bellezza, alla maestosità. Si parla piano mentre cala la sera, e insieme il rumore di fondo del traffico. Si cerca l'incanto della Storia, il senso dei secoli. Si immagina il passato. Molto si immagina anche tra i giardini ricreati sul Palatino. Un percorso in otto stazioni, che comincia nel criptoportico neroniano, dove la penombra è squarciata dalle immagini proiettate sui muri. Sono le pitture nelle domus, gli affreschi a grottesche, i trompe l'oeil di ghirlande intrecciate, i decori pompeiani. Uscendo fuori, le rose dipinte diventano quelle vere, rosse e rosa, arrampicate davanti alla Casa di Livia. Il colle dove Romolo conquistò il diritto di fondare l'Urbe doveva essere verdissimo, a cominciare dal corniolo che si diceva nato dall'asta scagliata dal gemello vincente. E se nei primi secoli si coltivavano frutta e verdure (cavoli, mele, pere, erbe aromatiche e mirto, per intrecciare corone), il salto verso la raffinezza seguito alla conquista della Grecia consigliò, dal secondo secolo avanti Cristo, di creare giardini ricchi di sculture, piante e fiori. Gli spazi verdi si concentravano soprattutto nei peristili, affidati ai topiarii, veri e propri decoratori di giardini. Ecco i melograni, i viburni, gli oleandri, i cotogni, tutte specie locali, come testimoniano le pitture della Casa di Livia. Sostituiti pian piano, mentre si allargavano i confini dell'impero, da piante importate: ciliegi, peschi, limoni. Altre presero piede quando sul colle - tramontata la gloria di Roma - si accasarono i Barberini, che impiantarono la famosa Vigna, e i Farnese, cui si devono i celebrati Orti. Importarono dalle Americhe la yucca e l'agave, collezionarono mimose e bouganvillee, peonie e gerbere, agave, mandarino, passiflora. Nel Novecento infine fu un archeologo, Giacomo Boni, ad allestire un giardino all'italiana, con cipressi, lauri, camelie. E adesso che cosa troviamo sulla grande spianata del Palatino? I secolari pini, i cipressi, i melograni che stanno aprendo i fiori rossi. E appunto le dodicimila piante sistemate tra la Casa di Augusto e la Domus Augustana, tra lo stadio, la Fontana Ottagona, il Ninfeo ellittico. Le scelta dei colori dei fiori è servita a ricreare l'effetto dell'acqua, elemento fondamentale nel giardino antico. Le petunie bianche e azzurre mimano il marmo e le fontane. Altrove, un mare di surfinie violacee e lilla. Addirittura nella Domus Flavia l'acqua è simulata da infiniti frammenti di vetro. Una mostra in divenire, perché di settimana in settimana si schiuderanno altre corolle, fino al 14 ottobre, quando la rassegna chiuderà. Allo Stadio Domiziano sono pronte a sbocciare le verbene. E aumenterà il profumo dolce dei fiori d'arancio e delle rose, man mano che le giornate saranno più calde. Certo, mancano gli altri frutti importati dall'America, i peperoni, i pomodori, il mais e i girasoli. Ma lo spazio per la documentazione e l'iconografia è nella Casina Farnese, riaperta per l'occasione, dove sono esposte le stampe sulla «rivoluzione verde» voluta dal cardinale Alessandro Farnese, nipote di Paolo III, che tra il 1542 e il 1560 fece progettare, sui resti delle domus Tiberiana e Flavia, i suoi Orti. Il bello è che, nell'Ottocento, i raffinati giardini ridivennero plebei, ospitando vigne e carciofaie, pollai e casette di contadini, che ancora oggi donano campagnoli scorci ai visitatori. Anche la Vigna Barberini rese rustici gli Adonaea, aiuole create dagli Assiri in ricordo della morte di Adone: le statue del dio e di Venere erano circondate da piante in vaso che rapidamente crescevano e altrettanto presto morivano, per l'impossibilità di espandere le radici. A simboleggiare l'esistenza effimera di Adone. E in una sintesi di floricoltura e filosofia.