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di Lucio D'Arcangelo Partendo da una provvisoria adesione alla neo-avanguardia Giuseppe Conte (1945) ha compiuto un percorso culturale e poetico del tutto personale, che lo ha portato alla riscoperta del mito, del sacro, della natura.

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Trai messaggi di adesione, quelli di Lawrence Ferlinghetti, di Mary de Rachewiltz, di Mario Luzi, di Gao Xingjian. Nel 1995-96 contribuisce a far sorgere il movimento del Mitomodernismo, insieme con Tomaso Kemeny, Stefano Zecchi e altri. Nel 2006 vince con Ferite e rifioriture il Premio Viareggio sezione poesia. Poeta, narratore e saggista ha scritto numerosissimi libri: tra gli ultimi L'adultera, Milano, Longanesi, 2008, Premio Stresa. Lettera ai disperati sulla primavera, Firenze, Ponte alle Grazie, 2002. La casa delle onde, Milano, Longanesi, 2005, Premio Mondello. Poesia del mondo (antologia), Parma, Guanda, 2003. Giuseppe Conte, qualcuno ha affermato che i poeti si leggono da soli, nel senso che vengono letti solo dagli altri poeti o dagli aspiranti poeti. È vero? «Che il pubblico della poesia sia fatto quasi esclusivamente di poeti è una mezza verità che enfatizza la crisi del ruolo sociale, civile, umano della poesia oggi nella civiltà occidentale, e in particolar modo in Italia. Se la poesia non ha più, foscolianamente, un ruolo di civilizzazione, di creazione di mito e di bellezza, di barriera contro la sanguinosa barbarie delle forze antiumane, che cosa vale ? Se nessuno crede più, come Ungaretti, nel primato dello spirito, perché leggere poesia? Gli aspiranti poeti poi non leggono niente. Credono che basti esprimere qualche delicata (e spesso cretina) sensazione o vibrazione. Però hanno diritto di farlo, se serve loro come terapia». Borges racconta che per farsi recensire il suoi primi libri di poesia ne metteva delle copie nelle tasche dei cappotti di persone ( giornalisti, letterati, ecc.) che frequentavano la redazione del quotidiano La Nación . Qual è oggi la situazione dei poeti esordienti? «E dove sono i poeti esordienti? Chi se li fila? Trent'anni fa un esordio (il mio per esempio) poteva ancora diventare un caso culturale di cui parlava il Corriere della Sera. Oggi la poesia è diventata un fatto privato. Non più culturale, né legato alla conoscenza. Questa è la sua condanna. Ma esistono giovani e giovanissimi poeti, io ne sono sicuro, qualcuno mi manda i suoi versi, verranno fuori al momento giusto». Cos'è oggi la poesia rispetto agli altri generi letterari? È stato detto, ad esempio, che è il "privato" per eccellenza. «Se è soltanto il privato, chi se ne frega. La poesia , raccontando anche minimi accadimenti quotidiani, dovrebbe sempre mostrare una trama di riferimenti al mistero simbolico dell'intero universo. E poi tutta questa valanga di romanzi intimisti e minimalisti che travolge le librerie con storie di nonnette e paparini, tradimenti e divorzi, non è più privata ancora?» Parlando dello sperimentalismo in voga negli anni'80 , caratterizzato dal «cocktail multilinguistico delle parole messe nello shaker e poi rimescolate prima dell'uso», Montale osservava che quei poeti fautori di una «reazione ideologica all'ermetismo» erano in realtà più oscuri dei loro predecessori e privi di un vero strumento di comunicazione. Qual è la situazione oggi ? O, per meglio dire, quale linguaggio parla la poesia? «La reazione neoavanguardistica all'ermetismo da una parte e al neorealismo dall'altra è finita in un decennio. Sono rimaste sul campo molte macerie. Per me, l'unica via nuova è quella che non riesuma nessuna di quelle poetiche del passato, ma cerca nuove strade nel connettere la forza del mito con le esigenze del contemporaneo. Un giorno si vedrà che il mitomodernismo, avversato da tutti con rabbia e livore, aveva ragione. Tornano gli dèi, le forze cosmiche, la bellezza, il meticciato occidente-oriente. Vedrete». Come vede i tentativi di dare alla poesia un linguaggio «antilirico»? «C'è gente che appena sente parlare di lirismo se la fa sotto. Poveracci faziosi e passatisti, che non capiscono come la poesia deve, dico deve, essere lirica e antilirica, sublime e parodica, alta e bassa, inneggiante ed epigrammatica. Come sul versante di una alta montagna ci sono tutti i climi, così in un grande scrittore ci devono essere tutti gli stili, diceva Victor Hugo. Ma già, vai a parlare di un gigante ai nanerottoli che fanno dell'antilirismo una battaglia ideologica di retroguardia. Avessero letto bene Shelley, e un fascicolo della rivista Europe intitolato " e romantisme rebelle", capirebbero poi che il lirismo è l'unica vera energia rivoluzionaria oggi». Come definsce la sua poetica? «Ho passato la giovinezza a scrivere di poetica, saggi interi. Gli altri hanno chiamato la mia poetica "della danza", "orfica", "neoromantica", "neoclassica", e in altri modi ancora. Io mi riconosco nel mitomodernismo, cioè in una poetica che dà veste contemporanea al mito, e fa travedere le radici mitiche del contemporaneo. E poi nella mia tradizione, che tocca principalmente Blake, Goethe, Foscolo, Shelley, Whitman, Baudelaire, D.H.Lawrence , Sbarbaro, Montale, Ungaretti».

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