di Massimiliano Lenzi Il sangue sui pantaloni bianchi, il velo verde, il viso allungato nella smorfia di una disperazione senza fine, come il volto di una donna del pittore Amedeo Modigliani, senza pace.
Sola,ha intorno cadaveri di altri bambini, disperazione di fanciulli, di uomini e di donne. Miseria. Ha intorno sangue e morte, la faccia empia e vile di una guerra. Non è un film, non è fiction, non è un reality ma è la fotografia di una realtà, scattata da Massoud Hossaini, 30 anni, che ha vinto il Premio Pulitzer 2012 per la categoria "photography breaking news". Con questa motivazione della giuria: si tratta di una foto "lacerante", una foto "semplice, affascinante, che rimane nel cuore", ha argomentato il responsabile del premio, Sig Gissler. Hossaini che lavora nell'ufficio di Kabul dell'agenzia di stampa France Press, il giorno in cui ha scattato la foto stava coprendo una processione sciita quando un kamikaze si è fatto esplodere in mezzo a centinaia di persone. L'attentato uccise quasi 70 persone, il più sanguinoso in Afghanistan dopo un attacco all'ambasciata dell'India nel luglio 2008. «Al lato della strada ho visto parecchi bambini colpiti che non si muovevano» raccontò allora Hossaini. «Ho visto una bambina di dodici anni, Tarana, tutta insanguinata, che non sapeva che fare e singhiozzava». Ha visto la vita e la morte, Hossaini, e l'ha fotografate regalandoci un'immagine che non va guardata ma letta. Troppo spesso, oggi, nell'era della società dell'immagine che ripete se stessa nelle fiction, nei reality, nei giochi, nei game show, sulle isole e dentro i grandi fratelli, si vede tutto, persino l'osceno, della finzione mentre si copre e ci si indigna per il reale che viene mostrato. Che contrappasso. Si tratta di una semantica alla rovescia che riproduce il finto e vela il reale, come la pruderie di un clero fuori tempo che decise di coprire i nudi di Michelangelo mentre il suo potere andava in disfacimento. Succede sempre così nelle civiltà decadenti: si scambia il finto per il vero perché il secondo è troppo crudo, ci rammenta che non siamo eterni, che esiste il dolore e che la morte non la puoi fermare con il televoto. Devi farci i conti con l'inizio e con la fine, con ciò che ci sta nel mezzo. Quelli del Pulitzer, gente avvezza a masticare giornalismo senza bisogno di troppi retroscena - un genere, diciamolo, il retroscena tutto italiano - se ne sono accorti e premiando una fotografia hanno premiato l'essenza stessa del mestiere di scrivere (e di vivere). Quando il nostro giornale ha pubblicato l'immagine del giovane calciatore Morosini a terra, morente, durante la partita tra il suo Livorno ed il Pescara, le critiche sono arrivate da destra e da manca. Peccato. Quella fotografia - nella sua tragedia - non era il buco della serratura che si vede ogni sera in televisione, nelle salse più diverse, tra tette, culi, maghi e chi più ne ha più ne metta ma era il fermo immagine di un momento di realtà. Che noi non avremmo mai voluto vedere ma che è accaduto. C'è in questo voltarsi dall'altra parte di fronte a ciò che non è reality ma realtà, il dramma idiota della nostra società, intrisa di fitness, di salutismo per legge, di diete e di vacanze esotiche. Una società che vorrebbe espellere l'idea dalla morte da se stessa. Non si può. E non può farlo il giornalismo, se vuole continuare ad essere tale. Un grande racconto della vita e del mondo. Cosa sarebbe - care anime belle - dell'onta dei campi di concentramento nazisti senza le immagini di quell'orrore, della sofferenza degli ebrei, degli omosessuali, degli zingari, di tutti i deportati. Senza l'aver visto i luoghi e i volti delle vittime e dei carnefici. Strappare all'osceno l'umano, il troppo umano, anche nelle sue nefandezze più atroci, questa è informazione. Molto più che pubblicare pagine e pagine di intercettazioni perché nel passaggio dalla parola parlata allo scritto, narrativamente, c'è già un tradimento abissale. Mediale, ma abissale visto che si passa dall'ascolto alla lettura. La giuria del Pulitzer, con il premio ad una foto lacerante - un aggettivo che in Italia usiamo, senza senso, per i vertici dei partiti o per le eliminazioni dai reality - ha compiuto una scelta di coraggio. Come Hosseini - che quella fotografia l'ha scattata - ed oggi dice che «non la guardo più perché mi fa battere forte il cuore e mi riporta alle emozioni di quel giorno. So che chiunque la guarderà ora penserà al fotografo ma spero che non si dimentichi il dolore che il popolo afgano vive». La scelta di una fotografia lacerante non è stata la sola decisione coraggiosa della giuria del Pulitzer di quest'anno visto che l'Oscar del giornalismo scritto, stavolta, è andato a due giornalisti di altrettanti media online: l'inviato di guerra David Wood dell'Huffington Post e il vignettista Matt Wuerker di Politico.com. La fotografia e internet, la strana coppia verrebbe da commentare, dove sembra essersi trasferita la realtà ed il lavoro di raccontarla nel XXI secolo. I media tradizionali, il caro vecchio quotidiano, e la televisione appaiono essersi contagiati a vicenda. La carta stampata a rimorchio della tv e lei, la scatola catodica, appesa alle proprie finzioni. Un Truman Show infinito, mano nella mano, che sta perdendo (salvo esempi coraggiosi) la sua narrazione, la sua forza di cronaca e di realtà. La giovinezza dei nuovi media, come internet, si porta appresso - al contrario - una capacità di sperimentazione ed un coraggio che non teme il faccia a faccia con la realtà. Se il web riuscirà, nei prossimi mesi ed anni, ad affrancarsi dal vizio dei blob mutuati dai pezzi di televisione per delineare una propria semantica, senza sensi di colpa o complessi di inferiorità, a quel punto la nostra società dovrà tornare a fare i conti con il reale, espulso troppo in fretta da quasi tutta la tv e pure dal nostro immaginario, al punto da farci scandalizzare per la vita e per la morte. Resterà, certo, l'imbuto di una società decadente, la nostra, sospesa nelle sue illusioni. A guardare la storia dell'arte, che poi è storia dell'immagine, in fondo anche il barocco che aveva come fine la meraviglia e lo stupore - periodo di risacca dopo la volontà e la ragione rinascimentali - ha avuto i propri contrappassi inattesi. Ed oggi, nel XXI secolo, si legge più realtà in un dipinto del Caravaggio (pensate a La morte della Vergine, dove il pittore scelse come modella una prostituta annegata nel Tevere) che in mille puntate di un reality.