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di Francesco Perfetti Fino alla sua scomparsa, avvenuta all'età di novanta anni, Rosario Bentivegna, l'uomo che ha legato il proprio nome all'attentato di via Rasella del 23 marzo 1944, ha sempre difeso con tenacia convinta l'azione posta in

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Larivendicazione orgogliosa di quell'attentato Bentivegna l'ha fatta attraverso diverse pubblicazioni, a cominciare dal volume Achtung Banditen, ma anche attraverso interviste, contraddittori e dibattiti, sempre sostenendo la tesi che si trattasse di una azione militare e non già di un atto terroristico, come da più parti venne sostenuto. In un certo senso, tutta la vita di Bentivegna - che, nel dopoguerra, fu un apprezzato medico e un valido studioso di medicina legale e del lavoro - rimase segnata da questo avvenimento e dalle polemiche che ne seguirono tanto che fu costretto a tornarvi in continuazione. Del resto egli ne era stato davvero, anche se del commando facevano parte altri compagni di lotta, il protagonista principale. Proveniente da una famiglia siciliana di tradizioni risorgimentali, all'epoca dei fatti era uno studente di medicina iscritto al Partito Comunista e si era distinto per azioni nel movimento clandestino di resistenza. Quel giorno, proprio lui, il giovane Bentivegna, travestito da spazzino, lasciò in via Rasella, dove doveva passare una colonna tedesca, un carretto di immondizie che celava un ordigno esplosivo. Dovette attendere due ore più del previsto, prima di far brillare la bomba, perché la compagnia di militari tedeschi giunse in ritardo rispetto al solito. All'operazione, decisa dai comunisti all'insaputa dei partiti del Cln e dei loro rappresentanti nella Giunta militare, parteciparono altri personaggi con compiti di copertura e appoggio, tra cui Carla Capponi, la futura moglie di Bentivegna, Franco Calamandrei e Carlo Salinari. Subito dopo l'attentato scattò il rastrellamento di civili e, poi, la rappresaglia delle Fosse Ardeatine. All'interno del mondo antifascista l'attentato di via Rasella provocò reazioni critiche. Accanto a coloro, prevalentemente comunisti, che ne sottolinearono il valore simbolico sostenendo che esso dimostrava la vulnerabilità dei tedeschi e serviva a dare un segnale di riscossa alla popolazione romana, vi fu anche chi lo deplorò immediatamente, preoccupato per le prevedibili e tragiche conseguenze che esso, come in effetti avvenne, avrebbe provocato. L'attentato, in effetti, comunque lo si voglia giudicare, segnò un momento di svolta nella lotta per la libertà e dimostrò come, mentre il Cln centrale si preoccupava soprattutto di questioni politiche, l'iniziativa militare fosse di fatto passata, come ha osservato Renzo De Felice, "nelle mani dei singoli partiti e in particolare di quelli di sinistra, meglio organizzati e più forti e che si sarebbero mossi in sostanziale autonomia", ovvero in quella di "formazioni che non facevano capo ai sei partiti del Cln". Fu, in un certo senso, l'avvenimento che sancì definitivamente la scelta del ricorso al terrorismo, da parte comunista, come principale arma dell'antifascismo militante. Si trattò di una scelta che ebbe nei Gap, dipendenti proprio dal partito comunista, il braccio operativo. Ma si trattò, anche, di una scelta che fu contrastata, almeno in una prima fase, dagli altri partiti del Cln preoccupati che essa potesse alienare alla causa dell'antifascismo e della resistenza le simpatie della popolazione, soprattutto quelle della cosiddetta "zona grigia" e attendista, terrorizzata dalla prospettiva di possibili rappresaglie naziste e di esecuzioni di massa. I comunisti parlarono di "moralità rivoluzionaria" insita in questa scelta e di una sua capacità di prevenire il terrorismo dei tedeschi, ma in realtà le cose stavano ben altrimenti perché essa puntava deliberatamente a suscitare le rappresaglie naziste. Renzo De Felice ha osservato in proposito, correttamente e autorevolmente, che sotto il profilo strettamente militare il terrorismo non aveva grande utilità mentre l'aveva all'interno della "strategia comunista". Esso, infatti, sempre secondo De Felice, serviva, in primo luogo, provocando la reazione di fascisti e tedeschi, a suscitare indignazione e odio popolare e, per reazione, a scoraggiare quei tentativi di pacificazione posti in essere, già all'indomani dell'8 settembre, da chi paventava le ripercussioni future della lotta fratricida sul tessuto nazionale. Esso, poi, in secondo luogo, serviva a creare, attorno ai gappisti comunisti (che lo avrebbero utilizzato contro obiettivi simbolici come, per esempio, il filosofo Giovanni Gentile assassinato qualche tempo dopo, il 15 aprile 1944, a Firenze) "un alone di forza e di onnipresenza" che funzionava "da deterrente" ed "esaltava agli occhi della gente l'attivismo, l'efficienza e lo sprezzo del pericolo dei comunisti rispetto alla "passività" degli altri partiti impegnati nella resistenza". Tutto ciò era funzionale all'idea, propria di comunisti e azionisti, secondo la quale la resistenza doveva essere il fatto rivoluzionario per eccellenza della storia dell'Italia unita. Il che, per inciso, spiega anche l'importanza attribuita dai comunisti nel dopoguerra all'unità della resistenza e, più ancora, all'unità delle sinistre. L'attentato gappista di via Rasella va inquadrato in un questo scenario. Le polemiche sull'episodio del quale fu protagonista Bentivegna continuarono (e continuano tuttora) anche perché le sentenze della Magistratura che hanno catalogato la strage come "legittimo atto di guerra" non possono - indipendentemente dalla considerazione generale che i tribunali non hanno né competenza né diritto di scrivere la storia - modificare il dato di fatto che quell'atto bellico - quale che ne sia il giudizio che se ne vuole dare - sia un attentato terroristico. A Bentivegna e ai suoi compagni fu rimproverato, poi, di non aver evitato la rappresaglia tedesca delle Fosse Ardeatine autodenunciandosi e presentandosi spontaneamente come autori materiali dell'attentato. Non è possibile sapere se l'eventuale autoconsegna di Bentivegna avrebbe potuto evitare la strage di via Rasella. Ma il caso di Salvo D'Acquisto, l'eroico vicebrigadiere dei carabinieri il quale, pur innocente, si sacrificò addossandosi la responsabilità dell'uccisione di alcuni tedeschi e andando incontro alla fucilazione resta, pur sempre, sullo sfondo. E lascia aperto l'interrogativo.

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