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di Dina D'Isa Sotto l'ombra inquietante di quanto successo al G8 di Genova nel 2001 e dopo la morte dell'Ispettore Filippo Raciti, (a Catania il 2 febbraio 2007), lo scenario degli episodi violenti negli ultimi anni si condensa nella Capitale.

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Questoe altro viene raccontato in «ACAB», film di Stefano Sollima tratto dall'omonimo libro di Carlo Bonini (co-prodotto da Francia e Italia con Cattleya, Fast Film, Rai Cinema, Babe Film) e da venerdì distribuito in 300 sale da 01. È un viaggio nel mondo chiuso e controverso del Reparto Mobile, spesso guardato con distacco dalla Polizia stessa, ma anche con sospetto e diffidenza dai cittadini. Un viaggio che si focalizza sui violentissimi scontri tra ultras e poliziotti, in una Roma rumorosa e impegnata nelle elezioni comunali del 2008, dove le storie dei protagonisti sfociano in un'esplosione di brutalità, culmine di anni di tensioni sociali e di scontri tra forze dell'ordine e ultras. Cobra (Pierfrancesco Favino), Negro (Filippo Nigro) e Mazinga (Marco Giallini) sono tre "celerini bastardi", pronti a sentirsi più "celerini" che poliziotti. Sulla loro pelle hanno imparato ad essere bersaglio perché vivono immersi in una violenza che diventa lo specchio deformante di una società esasperata, di un mondo governato dall'odio che ha perso le regole. Nel momento forse più delicato delle loro esistenze, anche private, s'imbattono con il "futuro", ovvero una giovane recluta (Domenico Diele), appena aggregata al loro reparto. L'educazione di Adriano alla legalità, all'ordine, all'applicazione anche violenta della legge è la lente per raccontare il controverso "reparto mobile" con un inedito sguardo dall'interno, sullo sfondo dei più sconcertanti episodi di ferocia urbana accaduti in Italia negli ultimi anni. A.C.A.B. che sta per All Cops Are Bastard (tutti i poliziotti sono bastardi), acronimo creato dagli skinhead inglesi negli anni '70, poi termine universale per le sommosse nelle città e negli stadi. «Non è un film a favore dei poliziotti, ma un lavoro sull'odio che c'è nella società in cui viviamo, sull'intolleranza che proviamo tutti noi girando nelle nostre città - spiega Sollima - La durezza del film è solo fare i conti con una parte di noi che tendiamo a comprimere». Secondo il regista del cult tv «Romanzo Criminale», «ACAB» non è neppure un film che vuole parlare delle colpe dei poliziotti durante il G8 alla scuola Diaz di Genova, definita, forse non a caso da Giallini nel film, come «la più grossa stronzata della nostra vita, macelleria messicana». Insomma, «non è un contraltare al film "Diaz" di Vicari che andrà al Festival Berlino - continua Sollima - Quando tu vedi che questi poliziotti picchiano dei romeni che a loro volta hanno fatto violenza contro un negro, lo spettatore, guardandoli, pensa che stiano facendo bene. Queste cose è come se levassero la museruola al rottweiller che è in ognuno di noi. Sulla tipologia dei poliziotti non si può parlare che ci sia un'omogeneità della loro estrazione politica. Certo una certa attitudine a fare questo lavoro c'è, non puoi certo mandare delle ballerine alla stadio». Mentre per l'autore del libro, Carlo Bonini, ad essere bastardi e colpevoli sono un po' tutti, poliziotti, tifosi, politici, extracomunitari e gente comune, ma «il vero colpevole di questo film è lo Stato che è assente. Il celerino che ha denunciato i fatti della Diaz in questo caso è come un relais. Se la corrente gira nessuno ringrazierà il fusibile, al quale, se non funziona, si dà invece la colpa e lo si cambia senza problemi». Marco Chimenz, uno dei produttori della Cattleya, ha poi rivelato che, «pur non essendoci stata una formale dichiarazione sul film da parte delle forze dell'ordine, "ACAB" è stato visto da vari esponenti della Polizia che hanno mostrato, a volte, riserve verso alcune scene ritenute troppo lontane dalla realta». Una cosa smentita, invece, da gran parte di quei celerini romani che «hanno trovato in questo film tanta realtà di quello che è il loro lavoro». Ma per Chimenz, «comunque, da parte delle forze dell'ordine non è arrivato alcun ostacolo, anche se probabilmente scontenteremo molti di loro». Più esplicito Pierfranceso Favino, che nel film interpreta il Cobra, con una casa piene di busti del Duce e katane, e dice che «quando ti ritrovi a fare un ruolo con tanto di casco e scudo e con gente che davanti ti sputa, un po' cambi la tua visione delle cose. Ti puoi definire pacifista quanto vuoi, ma solo fino a quando qualcuno bussa alla tua porta e minaccia la tua famiglia. Io e i colleghi ci siamo addestrati giocando a rugby e siamo stati aiutati da professionisti a conoscere le tecniche di difesa e di attacco in mischia. Quando ti immergi in quel mondo scopri che certe sensazioni appartengono anche a te. Io e Nigro abbiamo passato intere giornate a piazza Montecitorio a osservare i celerini, i loro modi di muoversi e di parlare. Su internet si parla molto del film, nel bene e nel male: per me è morale raccontare la realtà, mentre dire cosa è giusto o sbagliato è moralismo. è un film politico che non ce l'ha con i politici in sé, ma con la cattiva politica: in Itali, purtroppo, non si mai è voluto lavorare su regole condivise».

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