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di Lorenzo Tozzi Ha fama di persona arcigna, ostica, di regista con il polso di ferro senza guanto di velluto il berlinese Peter Stein, che ha scelto Roma come sua città elettiva, ma solo ora giunge a firmare al Teatro dell'Opera di Roma un s

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Untraguardo che viene al culmine di una intensa attività artistica che ha dimostrato la dimestichezza di Stein non solo con i grandi del teatro, da Checov e Ibsen a Kleist ed Eschilo, ma anche con quelli della lirica da Ciaikovsky a Wagner, campo in cui ha affrontato con successo anche Falstaff e Otello, altri capolavori verdiani ispirati a Shakespeare. «Per questo Macbeth non sono partito da una mia particolare chiave di lettura – racconta il regista tedesco – ma solo dall'idea di raccontare effettivamente Shakespeare, che a sua volta ha rubato ad altri la truculenta trama. Il tema di fondo resta tuttavia quello della fatalità in genere e in specie di un uomo, anzi di una coppia ambiziosa che decide di arrivare al potere passando sul cadavere dei rivali con la conseguenza che tutto il Paese va allo sfascio. Tutti gli usurpatori si rendono sempre responsabili di fatti mostruosi, Lady Macbeth diventa pazza, Macbeth invece dall'inizio denota una pazzia che accompagna le sue azioni e cresce col tempo sino alla violenza: rimorsi, rinnegamenti, pentimenti, visioni. Dapprima vede un coltello, poi lo spettro di Banco. Giunge anche alla consapevolezza che alla fine la lotta per il potere è stata solo una lunga scia di sangue. Muore da guerriero, come una specie di eroe tragico». - Quello del Macbeth le sembra un tema ancora oggi attuale? «Attualissimo. In questi ultimi tempi sono caduti nel mondo tanti usurpatori che pensavano di avere conquistato il potere per sempre. E non penso solo al mondo arabo. Berlusconi ad esempio non è Macbeth, ma la sua lunga permanenza al potere ha creato disastri al Paese come Macbeth». - Ma lei crede nel destino? «Si, ci credo. Sono ateo, la mia religione è l'arte. Il destino è quello che ci accade. In Macbeth il destino si materializza in tre streghe che raccontano il futuro (unico momento in Shakaspeare in cui il fato è personalizzato), ma l'oracolo come sempre è ambiguo. Macbeth trova il suo destino: le streghe raccontano quello che lui vuol sentirsi dire. Dipendiamo dal nostro destino come nella tragedia greca che ha espresso tutto in modo paradigmatico: Edipo ignora i delitti che ha commesso. Ma nello stesso tempo seguiamo i nostri desideri e contribuiamo a creare il nostro destino». - Cosa è cambiato nell'allestimento da Salisburgo a Roma? «L'idea originaria è la stessa, ma ha dovuto essere adattata al contesto di un'Opera tradizionale come il Teatro Costanzi: da un enorme spazio all'aperto scavato nella montagna alla scatola scenica del teatro di tradizione. Tutto è rimasto tuttavia essenziale, con pochi elementi: un tavolo, una porta, il pentolone delle streghe. Quanto basta a disegnare un ambiente. Ed anche il coro, sotto forma di tronchi d'albero, cespugli, animali contribuisce a creare l'ambiente scenico. Le tre streghe sono affidate a tre attori, sono loro che fanno le azioni mentre il coro partecipa cantando (ho cercato un effetto stereofonico per rispettare la volontà verdiana di tre distinti cori di streghe). Poi ho dovuto lavorare con un cast in gran parte nuovo, salvo Tatiana Serjan che interpreta Lady Macbeth e Antonio Poli che però passa dal ruolo di Malcom a quello di Macduff». - La regia lirica è diversa da quella del teatro di prosa? «Qui ci sono le note a guidarti e bisogna rispettare la musica. La drammaturgia teatrale è diversa da quella operistica. Ogni atto ha il suo climax, eppoi ogni sera è un risultato diverso perché molto dipende dagli interpreti. Io cerco di tirare fuori al massimo la teatralità. La straordinarietà del Macbeth è che tutto corre incessantemente verso il precipizio. È una delle opere più compatte del giovane Verdi e prefigura in questo l'Otello». - Si è trovato bene a lavorare con Riccardo Muti? «Già altre volte mi aveva proposto quest'opera, ma non sapevo come risolvere alcuni momenti chiave come le streghe e l'assassinio. Ora mi sono trovato benissimo. Muti, che il Macbeth di Verdi sembra averlo nel sangue da sempre, ha molto rispetto per il teatro ed io per la musica. All'inizio spese 6 ore al pianoforte per illustrarmene la drammaturgia musicale. Ormai andiamo splendidamente a braccetto».

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