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di Lidia Lombardi Dalla finestra nella Sala Rossa - quel piccolo affaccio con la ringhiera graziosamente arcuata - lo sguardo s'allarga sul giardino all'italiana e, lontano, sulle alture arcigne di olivi, castagni e noccioli del Viterbese.

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Eccola piazza alta di Vignanello, la Collegiataa, le vie strette che scendono a valle. È un castello particolare, quello di Vignanello. Severo e aggraziato insieme. Perché intorno all'anno Mille era un convento. E prima ancora una fortezza. Addirittura, quando papa Paolo III Farnese lo donò alla nipote Beatrice - nell'anno di Grazia 1531 - la fortunata lo risistemò ancora come fortezza, chiamando fior di architetti, il Sangallo e il Vignola. Un maniero appartato, elegante ma senza fronzoli. Poco conosciuto, come il suo giardino. Che però «possiede il più bel parterre d'Italia», ha scritto Georgina Masson su «Italian Gardens». Soprattutto, è un castello che vive ancora fieramente la storia della famiglia che anima dal Cinquecento. Una gloriosa stirpe romana, che ha dato alla Storia papi ed eroi: i Ruspoli. Con origini che s'innestano nel più cortese e guerriero medioevo, perché hanno inglobato i discendenti di Marius Lo Scoto, lo scozzese chiamato da Carlo Magno a combattere in Spagna, in Francia, in Italia. Giada Ruspoli, una delle due figlie di don «Lillio» Sforza Ruspoli, attuale «regnante», aveva la voce appena incrinata qualche settimana fa, introducendo nel salone - fregio di affreschi monocromi color sabbia, soffitto a rosette di legno intagliato - il premio di musica barocca intitolato all'avo mecenate Francesco Maria: «Questa è la casa madre della famiglia. In questo castello gli ideali di tutti confluiscono, dai garibadini ai fedelissimi del Papa, dagli eroi nelle guerra Savoia ai santi». Proprio così, i santi. In questo castello - coronato in cima dai merli, circondato da uno stretto e profondo fossato, munito di due ponti levatoi, di una severa stanza d'armi nell'atrio scuro e maestoso, di quattro sale al piano nobile - nacque Clara. Era il Seicento, sognava di andar sposa ad acconcio nobile giovane, un Capizucchi. Ma era appunto il Seicento e per lei i genitori - Ortensia Farnese Orsini, che impiantò il giardino all'italiana, e Marcoantonio Marescotti - vollero un altro destino. All'altare andò la sorella, lei in convento. Ci visse dieci anni, Clara, da principessa. Poi venne la vocazione, prese il velo nel monastero di clausura di San Bernardino, a Viterbo. E visse al contrario della monaca di Monza di manzoniana memoria. Tutti i suoi anni li spese ad alleviare le pene degli emarginati, dei diseredati. Pio VII la fece santa nel 1807, la stanza dove morì è un tempio per le francescane di Viterbo. A Vignanello la cappella di famiglia espone il saio di Giacinta. Al piano di sopra l'aura è diversa. Un clavicembalo campeggia nel salone e rimanda a Francesco Maria Ruspoli, fatto principe dopo aver inviato al Papa un esercito di 700 uomini per difenderlo dagli austriaci. Amava la musica, era mecenate. Fondò a Roma l'Arcadia, a Vignanello ospitò Haendel e Scarlatti. La sua impronta resta.

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